"Il cinema di Marcovaldo": al Teatro dei Limoni rivive Calvino tra sogno e denuncia
L'opera firmata da Christian Di Furia e diretta da Paola Capuano
"Legga tutte le leggende che vuole, basta che non scopra la verità".
Le parole della signorina Balv hanno il sapore del già sentito. E già visto. Sembra di averle lette in qualche articolo di giornale per raccontare inchieste, misteri e diabolici piani tutt'altro che legali. E non è un caso che Ts’ui Pen - alias Christian Di Furia - si sia fatto ispirare anche da un articolo di stampa nella scrittura de "Il cinema di Marcovaldo". Sì, proprio come il personaggio reso celebre da Calvino e che, ovviamente, diventa l'altra musa ispiratrice per questa produzione firmata Teatro dei Limoni, che ha registrato sold-out nelle sue repliche e una massiccia partecipazione di scuole da tutta la provincia per i matinée. La regista Paola Capuano ha trascorso l'estate a 'studiare' il personaggio assieme a Di Furia. E il risultato è che Calvino c'è, ovviamente, e non potrebbe essere altrimenti. Ma la storia ha poi una sua piena autonomia che le permette di viaggiare da sola.
LO SPETTACOLO. In sala si viene accolti dal trambusto tipico di una grande città, con i fastidiosi rumori del traffico che fanno venir voglia di uscire dal teatro e respirare la quiete mattutina di via Giardino. E' l'ideale affresco per marcare il contrasto tra il mondo che il giovane operaio Marcovaldo deve vivere - tra una casupola piccolissima, i fumi delle fabbriche, lo sfruttamento al lavoro - e quello che invece il sognatore Marcovaldo si disegna: un mondo di arte, creatività, bellezza. Scegliendo di non ascoltare chi e cosa lo circonda, decide di dedicare e prestare attenzione solo al dialogo interiore con sé stesso (interpretato da Leonardo Losavio, con il quale realizza anche divertenti siparietti). Farebbe volentieri a meno, invece, di rapportarsi con la signorina Sbav (Francesca De Sandoli), giovane rampolla degli imprenditori più ricchi della zona, pronta a sacrificare l'intera città - fabbrica a parte - per destinare l'area a una discarica di litio. La donna in carriera singhiozza nervosamente quando è al cospetto del padre e corre poi a "rifugiarsi" nel potere quando catechizza - e mobbizza - i dipendenti. E con l'arma del ricatto, carpisce la fiducia di una collega di Marcovaldo (Elèna Lombardo) per portare a compimento il suo immorale disegno. Il progetto di Marcovaldo, invece, è tutt'altro che immorale: realizzare un film: le sue uniche armi sono una videocamera e la sua creatività, ispirata dalla bellezza - e dal fascino - della natura.
IL SUO MONDO. La filastrocca che saluta il cambio delle stagioni - e le scene del film immaginato - fanno rituffare in un mondo antico, tra credenze popolari e tradizione, troppo lontano da quel grigiume a cui Marcovaldo è sottoposto quotidianamente. Alla fine - senza però svelare troppo delle dinamiche che portano alla conclusione - la discarica non si farà, il film neanche (forse). In mezzo, però, c'è tanta denuncia e impegno sociale, c'è la volontà di immaginare un mondo diverso da lasciare ai tanti Marcovaldo del futuro (e del presente), condito da divertimento e la parola che chiude, anzi travolge, il finale: "... spettacoloooooo".
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