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Il giovedì delle badanti ucraine

Storti & Diritti di Claudio De Martino

Un giro per i giardini pubblici, di giovedì pomeriggio, e la signora C. diventa datrice di lavoro, con una stretta di mano. Come si faceva una volta nella piazzole dei nostri paesi, dove i caporali sceglievano i braccianti, come ancora succede nei diversi “ghetti”, là dove centinaia di braccia si offrono per pochi euro al cassone alle dipendenze di un aguzzino.
LE BADANTI. La signora C. ha così tanti acciacchi, che avrebbe bisogno di qualcuno accanto a sé tutto il giorno, mentre i figli sono lontani e a stento sopravvivono anche loro alla crisi. Il guaio è che la signora C. mille euro al mese non li ha mai visti passare sul libretto postale. Tra invalidità civile e indennità di accompagnamento, a stento arriva a fine mese, figuriamoci se riesce ad assumere regolarmente una badante.

IL PATTO. E allora? Nessun contratto, nessuna regolarizzazione contributiva ed assicurativa del rapporto di lavoro, ma una sommetta versata in contanti nella mani rugose della signora, ingegnere, laureata in Ucraina ai tempi del comunismo, che qui in Italia fa la badante, per mettere due soldi da parte da mandare a casa.

E IL CONTRATTO? E pensare che in Italia esiste una legge sul lavoro domestico dal ‘58, e pensare che hanno scritto un contratto collettivo nazionale di lavoro apposta, che ha le sue regole peculiari e i suoi minimi tabellari, che “si applica ai prestatori di lavoro, anche di nazionalità non italiana o apolidi, comunque retribuiti, addetti al funzionamento della vita familiare e delle convivenze familiarmente strutturate”. Perché quando lavori a casa di chi ti ha assunto, si innesta una relazione di fiducia tale, che è parso giusto al legislatore che ciascuna delle due parti possa interrompere il rapporto di lavoro quando vuole, senza particolari formalità, mentre chi ci lavora ha diritto ad alcune tutele, di cui nessuno sa.

ORA LA CAUSA. “Perché quando sei sola in casa con un uomo, può avere anche novant’anni ma è sempre un uomo”, mi dice la signora I., che oggi è in studio da me per intentare una vertenza.

Lavoro straordinario, ferie e permessi non goduti, tfr.

La signora chiede tutto. Provo a spiegarle che probabilmente non otterrà niente. O quasi niente.

C’è una massima del diritto medievale, che ogni tanto si cita in Tribunale per fare i dotti, che dice più o meno così: se hai un solo testimone, è come se non ce l’avessi. Figurati se non hai neanche quello e l’unica prova che hai per affermare di aver lavorato a nero come badante è la testimonianza di qualcuno che può dire di averti accompagnato ogni giorno sotto casa della signora C.

Per fare cosa, alle dipendenze di chi, nessuno può dirlo.

Provo a spiegarlo, portando ad esempio altre badanti che hanno provato a intentare una vertenza, senza cavarci un ragno dal buco.

Niente da fare.

IL RIPOSO DEL GIOVEDI'. La signora I. sta fuori di senno. Non tanto perché la pagava poco - “povera, la signora aveva solo la pensione!” – quanto perché ledeva sistematicamente il suo diritto assoluto ed inviolabile: il diritto al riposo del giovedì pomeriggio, il diritto alla passeggiata con le amiche, a ritrovarsi nella Villa Comunale per assaggiare il dolce polacco della sua amica, il diritto a vivere, insomma, al di fuori di quelle mura antiche, tra il catetere e la cucina sporca di ragù.

Ora il problema sarà spiegarlo al giudice.

di Redazione 


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