“Davvero vogliamo vivere in una società del genere? Davvero vogliamo vivere con questa indifferenza? Davvero vogliamo vivere in una comunità che ci consegna ad oggi 115 morti irrisolti?”. Non sono domande retoriche quelle di Domenico Seccia, Procuratore della Repubblica a Lucera e da anni massima autorità in tema di mafia foggiana e garganica, della cui ultima ha dato alle stampe il suo primo libro dal titolo “La mafia innominabile”. Dal Chiostro di Santa Chiara di Foggia, ieri, martedì 10 settembre, il magistrato e autore ha presentato il suo ultimo lavoro, dedicato alla criminalità foggiana, dal titolo “La mafia sociale” (edito, come il primo, dalla casa pugliese La Meridiana).
UN TITOLO TUTT'ALTRO CHE CASUALE. “Mi si chiede il perché di due libri sulla mafia, ebbene io rispondo così: perché era troppa, troppa l'indifferenza della gente”. Più che una presentazione, una serie di domande aperte e rivolte in modo diretto al pubblico, intorno al lavoro svolto sin qui dalle procure di Capitanata e dallo stesso procuratore, senza tralasciare il ruolo effettivo della società civile, della gente, delle comunità di Capitanata. Seccia prova a a riannodare il filo di una mafia definita appunto “sociale”, termine tutt'altro che casuale, come non ha mancato di sottolineare Michele Trecca della libreria Ubik nella sua introduzione: “un titolo tragico, forte, fortissimo, che chiama direttamente in causa la società civile”. Sul palco – organizzato dal coordinamento provinciale di Libera, forte di una nuova campagna dal titolo “Reagisci Foggia” – ha preso parte, oltre al giornalista della Gazzetta del Mezzogiorno Ernesto Tardivo, all'assessore regionale alla legalità Guglielmo Minervini, anche il sindaco Gianni Mongelli, il quale ha sottolineato come la città da lui guidata sia in un momento decisivo del proprio futuro. “Scrive il procuratore Seccia – ha aggiunto il Primo Cittadino – che non c'è stato un sindaco a Foggia che abbia parlato di mafia, bé, qualcuno, qui presente, qualche parola l'ha detta...”
L'OLIGARCA MAFIOSO. “Il mafioso è un oligarca e ha bisogno di consolidare se stesso, della sua terra non gliene importa niente – ha spiegato Seccia – per cui non credete a chi tenta di minimizzare, di non esagerare, quando si parla di mafia foggiana e garganica: è quello che vogliono, vivono nell'ombra della società, si nutrono del suo elemento sano”. Dopo aver parlato della divisione, anzi della discrepanza creata e ottenuta dalla mafia in molte aree non solo del foggiano (come riportato nel video), il magistrato ha fatto anche il punto di certi luoghi precisi, parlando ad esempio di San Nicandro Garganico e Poggio Imperiale: “cittadine che si sono liberate, dove la mafia è stata sconfitta, e vanno sottolineate queste cose. Ma purtroppo – ha aggiunto il Procuratore – ci sono luoghi nei quali è in atto una metastasi, dove operano indisturbati i clan: gruppi isolati che dominano il territorio e verso cui i cittadini saranno sempre sudditi, come a Rodi Garganico”.
“LA MIA SOFFERENZA E' IL MOTORE PER GLI ALTRI”. Alla testimonianza di Seccia infine, ha fatto eco anche quella di Daniela Marcone, coordinatrice di Libera Foggia, le cui parole non hanno mancato di suscitare forti emozioni tra il numeroso pubblico, in riferimento – e non solo – alla nota e tragica vicenda che ha riguardato il proprio genitore Franco Marcone, morto in circostanze mafiose mai del tutto chiarite. “La mia sofferenza – ha detto – è il motore per attivare altre persone, per scuoterle, per chiamarle in piazza. Foggia è la città di Giovanni Panunzio, che ha detto di no alla mafia. Ho avuto per anni un rapporto difficile con la magistratura, è vero, ma attraverso le parole di Domenico Seccia ho trovato la forza per una riconciliazione”. A rinforzare ancora di più quanto detto dalla Marcone, vale la chiusa finale dello stesso procuratore e autore del libro Domenico Seccia, insieme monito e autocritica in nome di una società civile chiamata a fare la parte più importante: “perché noi la terra non la ereditiamo dai nostri padri – come ha detto – ma la prendiamo a prestito dai nostri figli, cui un giorno dovremo dar conto”.
“Davvero vogliamo vivere in una società del genere? Davvero vogliamo vivere con questa indifferenza? Davvero vogliamo vivere in una comunità che ci consegna ad oggi 115 morti irrisolti?”. Non sono domande retoriche quelle di Domenico Seccia, Procuratore della Repubblica a Lucera e da anni massima autorità in tema di mafia foggiana e garganica, della cui ultima ha dato alle stampe il suo primo libro dal titolo “La mafia innominabile”. Dal Chiostro di Santa Chiara di Foggia, ieri, martedì 10 settembre, il magistrato e autore ha presentato il suo ultimo lavoro, dedicato alla criminalità foggiana, dal titolo “La mafia sociale” (edito, come il primo, dalla casa pugliese La Meridiana).
UN TITOLO TUTT'ALTRO CHE CASUALE. “Mi si chiede il perché di due libri sulla mafia, ebbene io rispondo così: perché era troppa, troppa l'indifferenza della gente”. Più che una presentazione, una serie di domande aperte e rivolte in modo diretto al pubblico, intorno al lavoro svolto sin qui dalle procure di Capitanata e dallo stesso procuratore, senza tralasciare il ruolo effettivo della società civile, della gente, delle comunità di Capitanata. Seccia prova a a riannodare il filo di una mafia definita appunto “sociale”, termine tutt'altro che casuale, come non ha mancato di sottolineare Michele Trecca della libreria Ubik nella sua introduzione: “un titolo tragico, forte, fortissimo, che chiama direttamente in causa la società civile”. Sul palco – organizzato dal coordinamento provinciale di Libera, forte di una nuova campagna dal titolo “Reagisci Foggia” – ha preso parte, oltre al giornalista della Gazzetta del Mezzogiorno Ernesto Tardivo, all'assessore regionale alla legalità Guglielmo Minervini, anche il sindaco Gianni Mongelli, il quale ha sottolineato come la città da lui guidata sia in un momento decisivo del proprio futuro. “Scrive il procuratore Seccia – ha aggiunto il Primo Cittadino – che non c'è stato un sindaco a Foggia che abbia parlato di mafia, bé, qualcuno, qui presente, qualche parola l'ha detta...”
L'OLIGARCA MAFIOSO. “Il mafioso è un oligarca e ha bisogno di consolidare se stesso, della sua terra non gliene importa niente – ha spiegato Seccia – per cui non credete a chi tenta di minimizzare, di non esagerare, quando si parla di mafia foggiana e garganica: è quello che vogliono, vivono nell'ombra della società, si nutrono del suo elemento sano”. Dopo aver parlato della divisione, anzi della discrepanza creata e ottenuta dalla mafia in molte aree non solo del foggiano (come riportato nel video), il magistrato ha fatto anche il punto di certi luoghi precisi, parlando ad esempio di San Nicandro Garganico e Poggio Imperiale: “cittadine che si sono liberate, dove la mafia è stata sconfitta, e vanno sottolineate queste cose. Ma purtroppo – ha aggiunto il Procuratore – ci sono luoghi nei quali è in atto una metastasi, dove operano indisturbati i clan: gruppi isolati che dominano il territorio e verso cui i cittadini saranno sempre sudditi, come a Rodi Garganico”.
“LA MIA SOFFERENZA E' IL MOTORE PER GLI ALTRI”. Alla testimonianza di Seccia infine, ha fatto eco anche quella di Daniela Marcone, coordinatrice di Libera Foggia, le cui parole non hanno mancato di suscitare forti emozioni tra il numeroso pubblico, in riferimento – e non solo – alla nota e tragica vicenda che ha riguardato il proprio genitore Franco Marcone, morto in circostanze mafiose mai del tutto chiarite. “La mia sofferenza – ha detto – è il motore per attivare altre persone, per scuoterle, per chiamarle in piazza. Foggia è la città di Giovanni Panunzio, che ha detto di no alla mafia. Ho avuto per anni un rapporto difficile con la magistratura, è vero, ma attraverso le parole di Domenico Seccia ho trovato la forza per una riconciliazione”. A rinforzare ancora di più quanto detto dalla Marcone, vale la chiusa finale dello stesso procuratore e autore del libro Domenico Seccia, insieme monito e autocritica in nome di una società civile chiamata a fare la parte più importante: “perché noi la terra non la ereditiamo dai nostri padri – come ha detto – ma la prendiamo a prestito dai nostri figli, cui un giorno dovremo dar conto”.