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Il sangue mai lavato: la persistenza del dolore e la memoria condivisa

La recensione di Cinzia Rizzetti del documentario proiettato nuovamente nei giorni scorsi a Foggia, in occasione de "La città che vorrei"

Giunge come una doccia fredda a risvegliare da un atavico torpore, un intorpidimento che dura da trent’anni. La storia di Francesco Marcone salta fuori da questo documentario con tutta la sua vitalità e tutto il suo rigore morale, lo stesso che lo ha condotto alla morte il 31 marzo 1995 per una mano criminale. “Il sangue mai lavato” (proiettato nuovamente nei giorni scorsi a Foggia, in occasione de "La città che vorrei") è il sudario di un uomo onesto che copre tutta la città, una città sonnolente e volutamente omertosa. Il documentario porta alla luce tanti anni di indagini giudiziari e giornalistiche e coniuga anche la parte più dolce ma allo stesso tempo più dolorosa della vita familiare.

"BISOGNA STARE ZITTI". È il terribile fatto di cronaca che ancora oggi grida giustizia e verità, la stessa che ha avuto i suoi detrattori in un profondo, complice silenzio e la fretta di voler liquidare la faccenda in cui erano coinvolti sicuramente alte figure di spicco tra imprenditori e colletti bianchi. Perché Francesco Marcone? Perché non c’è ancora una parola definitiva di verità e giustizia a quel sangue versato? Di quel sangue, e del sangue di tutte le altre vittime, le nostre strade sono asfaltate, si è mescolato a cemento e mattoni. Come il sangue cosparso sugli stipiti delle porte degli Ebrei, non è stato per noi cittadini, e familiari, garanzia contro il flagello ma condanna a vivere una giustizia mai ottenuta. “Bisogna stare zitti” si ode in un passaggio, e la proclama un dipendente degli uffici statali a favore di telecamera, rimbomba in una sala rispettosamente silente. È un comandamento per chi sapeva ma anche per chi non sapeva e in qualche modo poteva aiutare le indagini. Un avvertimento a non lasciarsi andare a “inutili” confidenze e supposizioni.

MEMORIA CONDIVISA.  L’opera diventa dunque memoria condivisa, la verità che chiede solo di essere diseppellita e un vero atto di resistenza di Daniela e Paolo, e prima di Maria Marcone sorella del funzionario. Lascia alla fine un messaggio di speranza, che molte cose stanno cambiando pur sapendo che la strada è ancora lunga e irta di ostacoli, che manca ancora tanto affinché il cerchio si chiuda. A casa Daniela conserva gli occhiali di suo padre con le tracce del suo sangue, quel sangue mai lavato a testimonianza del sacrificio di un uomo giusto e onesto, un uomo che voleva solo fare il suo lavoro. La speranza che vive in ogni cittadino perbene è che Daniela e Paolo possano presto lavare quegli occhiali e noi le nostre porte dal sangue della vittima sacrificale. Il documentario è stato diretto dal regista Luciano Toriello, che lo ha scritto a quattro mani con il giornalista Felice Sblendorio con gli interventi di Daniela e Paolo Marcone e del giornalista Giovanni Dello Iacovo e con le musiche di Carmine Padula.
(Cinzia Rizzetti)

di Redazione 


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