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Un'estate fa... Dai furgoni della morte alle pietre della vergogna

C’è stato un momento, la scorsa estate, in cui Foggia è sembrata la capitale dell’integrazione. È stato necessario, purtroppo, un lutto. Anzi, tanti lutti. Le morti, ben sedici, di braccianti agricoli stranieri. Morti schiacciati. Su furgoni ribaltati. Ammassati come i prodotti che raccoglievano nei campi. 

DA "CATTIVI" A VITTIME. È stato in quel momento che la cronaca ha ribaltato la visione dello straniero: non più il cattivo ma la vittima. Quelle 16 morti di gente per bene, che andava “semplicemente” a lavorare avevano scosso tutti. Vittime dei caporali. Vittime della mafia. Anche il più cinico e indifferente, di fronte alla visione di quei furgoncini della morte, non riusciva ad accettare: non si può morire così, schiacciati come pomodori. E così vertici istituzionali in prefettura, summit con premier e ministri, ma soprattutto cortei e scioperi di lavoratori e cittadini. E per una volta, quei cortei, non venivano visti come “inopportune rivendicazioni” (per usare un eufemismo rispetto ai commenti più qualunquisti alle manifestazioni dei migranti), ma come un segnale d’allarme, una giustificata denuncia, una opportuna protesta. In ballo non c’erano solo i sacrosanti diritti al lavoro, alla casa, alla dignità, ma una cosa di valore inestimabile: il rispetto della vita. 

TRA SOLIDARIETA' E BRAVATE. Foggia sembrava solidarizzare, senza eccezioni. Facendosi portavoce di una comunità d’intenti finalmente realizzata. Per qualche giorno lo straniero non era più il male. Perché il male lo subiva. Un anno dopo, solo un’estate più tardi, Foggia si scopre capitale di un nuovo gioco: il lancio di pietre. Sassi indirizzati verso quegli stessi lavoratori, verso quei braccianti agricoli la cui unica colpa è pedalare su una bicicletta verso il proprio posto di lavoro: la campagna. Tre episodi in dieci giorni. Persone colpite, ferite e impaurite. Un’estate fa erano i furgoni della morte. Ora sono le pietre della vergogna. C’è già chi l’ha derubricata a “bravata”. Ammesso che lo sia, non accettiamola stancamente e con indifferenza. È già troppo sopportare la quotidiana ‘strategia della paura’ attorno ai migranti, non adeguiamoci al fatto che i migranti abbiano paura di andare a lavorare. 

IL BRANO. “Canto con la musica popolare ciò che di impopolare c’è nella mia terra”, diceva Caparezza a proposito della sua “Vieni a ballare in Puglia”. Nel brano aveva dedicato anche un pezzo a ciò che accade a pochi minuti dalle nostre case: “Vieni a ballare compare nei campi di pomodori, dove la mafia schiavizza i lavoratori e se ti ribelli vai fuori; rumeni ammassati nei bugigattoli come pelati in barattoli, costretti a subire i ricatti di uomini grandi ma come coriandoli”. 
Chi è senza peccato (non) scagli la prima pietra.

di Redazione 


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