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La lettera aperta alla città di Michele Panunzio: "Mio padre ucciso dalla mafia, non offendere la sua memoria"

A 30 anni dalla sua morte, il ricordo di Giovanni Panunzio, imprenditore foggiano ucciso il 6 novembre 1992, è ancora vivo. Ma per consolidarne il ricordo e opporsi a qualche ricostruzione che ne offusca la memoria, il figlio Michele ha voluto indirizzare una lettera aperta alla città di Foggia.

LA LETTERA. Come figlio di Giovanni Panunzio, imprenditore foggiano ucciso dalla mafia il 6 novembre 1992, desidero rivolgermi alla cittadinanza di Foggia, poichè sento l'esigenza di chiarire alcuni aspetti legati alla figura e alla memoria di mio padre, in un momento difficile per la nostra città proprio per quanto riguarda la legalità e la lotta alla mafia foggiana. Mio padre, innanzitutto, fin dalla prima richiesta estorsiva del 1989 si è ribellato al ricatto mafioso e ha immediatamente denunciato alla Polizia l'estorsione a suo danno, attivandosi da subito per seguire e sollecitare le indagini scaturite dalla sua denuncia, fino al suo omicidio. Purtroppo, in tempi così difficili, dopo lo scioglimento per infiltrazioni mafiose del Consiglio comunale di Foggia, con la speranza che questa fase complessa venga superata con un rilancio per la nostra città, ho assistito con la mia famiglia a vari e ripetuti tentativi di sminuire la figura e la memoria di Giovanni Panunzio, con riferimenti alla sua storia errati, fuorvianti, tendenziosi o svilenti del suo percorso di ribellione alla mafia del racket. Da figlio non voglio, anzi: non posso, permettere che si dimentichi cosa mio padre ha fatto e ha rappresentato per Foggia (e non solo per Foggia), ma voglio dire di più: affermo tutto questo non tanto e non solo come figlio, ma per amore di verità, giustizia e rispetto della dignità di una vittima di mafia, riconosciuta come tale a termini di legge. Spesso, come familiari, abbiamo letto affermazioni sul nostro congiunto a detta delle quali egli non avrebbe fatto da subito una scelta per la legalità, ovvero avrebbe cercato di trattare con i delinquenti che lo tenevano sotto estorsione (citando sentenze senza il necessario approfondimento critico delle stesse) e così via, trascurando di dire che Giovanni Panunzio ha affrontato a viso aperto la mafia, l'ha denunciata e ne ha subito la violenza: la stessa parola “mafia”, parlando di lui, viene ancora oggi troppe volte dimenticata. Desidero ricordare, invece, che mio padre non ha mai avuto zone d'ombra, ha vissuto nella legalità e proprio in forza del suo sacrificio il processo scaturito dal suo omicidio ha accertato per la prima volta a Foggia l'esistenza della mafia nella nostra città. Evidenzio che ogni affermazione contraria sarà censurata e, ove occorra, perseguita penalmente da me e dalla mia famiglia e non accetteremo affermazioni offensive della memoria di Giovanni Panunzio, poichè esse sono davvero il frutto di una cultura della offesa e della maldicenza, che non fa bene a nessuno e che discende da una chiara incultura mafiosa. Offendere ingiustamente le vittime innocenti di mafia e ridurne il valore significa stare dalla parte della mafia. Desidero anche ricordare che il riconoscimento di vittima innocente di mafia in Capitanata è stato concesso dallo Stato a mio padre con una procedura disciplinata dalla legge e al momento non ne risultano altre. Non voglio negare o sminuire l'importanza, il valore e la dignità di altre figure uccise in modo innocente nella nostra città, o fare distinzioni di qualità dei loro percorsi di vita, e sarebbe sciocco o sbagliato fare classifiche su chi è morto ingiustamente (modalità che non ci appartengono), ma non accetto che la specificità del percorso fatto in vita da mio padre venga svilita o assimilata, mettendola in ombra, rispetto ad altre storie, altri percorsi e altre narrazioni. Parliamo di ciò che è stato fatto in vita e parliamone bene. Scrivo oggi, infatti, queste parole per sottolineare e rivendicare la specificità del percorso di Giovanni Panunzio, il cui omicidio ha rappresentato una svolta cruciale per Foggia, i cui aspetti non sono stati ancora oggi del tutto chiariti e i cui effetti si riverberano sulla storia attuale della nostra comunità. Invito chiunque voglia accostarsi alla sua figura e alla sua storia ad avvalersi di elementi oggettivi e corretti, ad attenersi ai dati storici, anche se, purtroppo, nonostante la presenza qualificata dell'Università cittadina, manca ancora oggi una seria analisi storica del complesso contesto di mafia che portò alla morte di mio padre. Basti pensare, e faccio solo un esempio, che nonostante una sentenza definitiva che ha condannato gli estorsori di mio padre, appartenenti alle consorterie mafiose foggiane, in sede di processo non fu possibile indentificare con chiarezza i mandanti ultimi dell'omicidio di Giovanni Panunzio. Se non si è in grado di parlare con cognizione di causa della figura di mio padre e del suo esempio, sarebbe desiderabile, e lo dico per paradosso, non parlarne per nulla: si eviterebbe a me e ai miei familiari di riaprire una ferita mai guarita. Fuor di paradosso, vi chiedo, nel caso vogliate trattare del sacrificio di Giovanni Panunzio, di rivolgervi con generosità e fiducia a noi familiari. troppe volte siamo stati lasciati soli, ma siamo qui a Foggia, non abbiamo mai lasciato una città che amiamo e che sentiamo nostra a tutti gli effetti. La scorsa estate è stato rappresentato un testo teatrale a Mattinata che parlava anche di Giovanni Panunzio, alla presenza al completo di noi più stretti familiari di Panunzio, ma nessuno, alla fine, ci ha chiesto cosa ne pensassimo, cosa desiderassimo dire dopo aver visto il nostro familiare rappresentato sul palcoscenico. Dico oggi ciò che avrei detto allora se fossi stato avvicinato da qualcuno desideroso di una nostra impressione: senza memoria non c'è futuro. Ma un bene così prezioso come la memoria collettiva non ammette manipolazioni o storture forzose da parte di chi possiede risorse e potere per poterlo fare. Se si vuole fare memoria, lo si deve fare in modo corretto, rispettoso, dignitoso, con competenza e in buona fede. A chiare lettere e senza infingimenti, aggiungendo che noto troppo spesso in alcuni la tentazione di sminuire la portata dello stesso fenomeno mafioso in Capitanata. Lo dobbiamo a Giovanni Panunzio, ma lo dobbiamo prima di tutto alla nostra città e ai suoi abitanti. Solo nella verità troveremo, infatti, la libertà e la forza necessarie per liberarci una volta per tutte dal giogo mafioso e costruire un futuro libero e in pace per i nostri figli. Diversamente, pagheremo a caro prezzo la permanenza di logiche opache e non rispettose, per prima cosa, di quanto la nostra città ha vissuto. Nel rispetto della storia di mio padre, ad ogni modo, posso garantire che io stesso e la mia famiglia non permetteremo mai che il suo sacrificio venga dimenticato, svilito, manipolato da chiunque e finché noi saremo qui non permetteremo a nessuno che tutto questo avvenga. Mio padre si è costruito e forgiato la propria storia da sé, ha voluto e portato avanti le sue scelte come ha creduto, fino alla decisione finale di pagare con la propria vita per non svendere la sua stessa dignità e quanto realizzato da lui solo nel corso della sua esistenza. A voi, concittadine e concittadini, vi chiedo a nome mio e dei miei familiari di non lasciarci più soli e di esserci vicini e solidali, anche perché la memoria di Giovanni Panunzio è patrimonio comune di tutte e tutti.

di Redazione 


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