Operazione anti caporalato, due arresti: sfruttavano manodopera e lucravano sui lavoratori
I
Carabinieri del Comando Provinciale di Foggia e del locale N.I.L., su direzione
e coordinamento della Procura della Repubblica di Foggia, hanno dato esecuzione
a un’importante misura cautelare applicativa degli arresti domiciliari, emessa
dalla Sezione G.I.P. del Tribunale di Foggia, nei confronti di un noto imprenditore
agricolo di Apricena, operante nella provincia di Foggia, e del proprio
"braccio destro", preposto alla conduzione delle sue cinque aziende. I provvedimenti
restrittivi della libertà personale in questione rappresentano il primo esito
di una complessa attività investigativa "anti caporalato", diretta
dalla Procura della Repubblica di Foggia.
I REATI. La misura
cautelare emessa dal GIP del Tribunale di Foggia, su richiesta della Procura
della Repubblica, contesta nello specifico i reati di concorso di persone in intermediazione illecita e sfruttamento del
lavoro aggravati, cui si aggiunge un ampio corollario composto da altre
violazioni in materia di formazione dei lavoratori sui rischi per la salute e
la sicurezza sul lavoro, nonché relative all’igiene del lavoro e di uso dei
dispositivi di protezione individuali. La
manodopera, costituita da un numero assai rilevante di lavoratori di diverse
nazionalità (in prevalenza africane e albanese), quasi tutti reclutati dai
"ghetti" presenti in provincia, ma anche comunitari e italiani,
veniva impiegata nelle aziende agricole in condizioni di assoluto sfruttamento,
approfittando dello stato di bisogno dei lavoratori, in dispregio delle più
basilari norme in materia di sicurezza e salute sui luoghi di lavoro.
IL COMPENSO. Più
in particolare, le condizioni di sfruttamento accertate nel corso dell’attività
investigativa erano costituite, tra le altre, anche dalla reiterata
corresponsione ai lavoratori di un compenso che variava tra un minimo di 3,33 ai 5,71
euro l’ora, in totale violazione delle previsioni contenute nei
contratti collettivi nazionali e territoriali stipulati dalle organizzazioni
sindacali di settore.
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GLI ORARI. A
ciò si deve necessariamente aggiungere che l’attività investigativa ha svelato
un altro aspetto caratterizzante la condizione di sfruttamento dei lavoratori
in merito alla reiterata violazione della normativa di settore relativa all’orario
di lavoro ed ai periodi di riposo. È stato infatti accertato che molti dei
lavoratori erano impiegati nelle attività di coltivazione tutti i giorni della
settimana, per una media variabile tra le 7 e le 9 ore giornaliere,
senza concessione di alcun giorno di riposo e con una pausa di circa 30 minuti
per il pranzo, peraltro non sempre concessa, in assenza dei prescritti periodi
di ferie e malattia.
GLI SGRAVI. Di
evidente rilevanza risulta poi quanto riportato nell’ordinanza cautelare
"sia in merito alla farraginosa modalità creata dall’imprenditore per
garantire l'astratta corrispondenza tra quanto indicato in busta paga e quanto
versato a titolo di retribuzione (che dunque prevedeva la restituzione in
contanti del surplus da parte dei lavoratori), sia con riguardo alla
compravendita delle giornate di lavoro, che fornisce all'imprenditore sgravi
contributivi: la contestazione di un solo falso bracciante, infatti, comporta
per l'azienda la restituzione di tutti gli sgravi di cui ha usufruito con
riferimento al trimestre in cui è presente il lavoratore fittizio".
LE GIORNATE LAVORATIVE. Il
"sistema" si basava infatti su più metodi fraudolenti. Nel caso del
lavoratore che aveva interesse a vedersi riconosciute, ai fini contributivi, le
giornate lavorative effettivamente fatte gli veniva versato un assegno o un
bonifico che riconosceva il pagamento delle ore lavorate corrispondente alle
previsioni normative, che il ricevente doveva poi però restituire in contanti
per la parte eccedente gli accordi presi in precedenza sulla paga oraria. E questo caso riguardava tutti i lavoratori
italiani. Nel caso, invece, in cui il lavoratore non fosse a conoscenza del
proprio interesse a vedersi riconosciute le giornate di lavoro, nello specifico
gli stranieri, i più bisognosi, il pagamento avveniva sempre in maniera
tracciata, ma secondo la retribuzione pattuita in spregio alla normativa di
settore, e l'azienda comunicava all'INPS non il numero di giornate
effettivamente fatte, ma solamente quelle che andavano a far coincidere la
somma elargita con le giornate che in teoria si sarebbero dovute svolgere per
raggiungere quella somma. In più, le indagini hanno permesso di accertare
l'esistenza di falsi rapporti di lavoro, realizzati mediante la
"compravendita di giornate lavorative", in virtù della quale l'azienda
comunicava all'INPS l'assunzione e la messa al lavoro di soggetti che poi al
lavoro non si presentavano proprio, col vantaggio reciproco di aumentare
percentualmente la quota di "sgravio contributivo" a favore
dell'azienda compiacente, e del riconoscimento delle indennità assistenziali a
favore del lavoratore fittizio.
IL TORNACONTO. Per
l'arco temporale coperto dall'indagine, tra il gennaio ed il luglio 2019, è
stato quindi accertato che le imprese riconducibili all'indagato hanno nel
complesso avuto un tornaconto di poco meno di 650.000 euro per le parziali
retribuzioni, causando un danno all'Erario di oltre 280.000 euro. Un
ruolo fondamentale in questo "sistema malato" era ricoperto dall’uomo
di fiducia dell’imprenditore, tanto a lui legato da avere la disponibilità una
sua masseria dove vive, il quale, con cadenza abituale, riferiva di eventuali
problematiche relative ai braccianti, offrendo talvolta anche le relative
soluzioni. Era lui il tramite tra i lavoratori impegnati nell’attività di
coltivazione e l’imprenditore agricolo, oltre a ricoprire anche il ruolo di
collegamento con gli altri caporali della zona per reclutare la manodopera da
impiegare.
IL CONTROLLO GIUDIZIARIO. Anche
in questo caso, infine, è stato ottenuto l'importante risultato della
sottoposizione al controllo giudiziario delle cinque aziende agricole risultate
di fatto riconducibili all’imprenditore, attraverso la nomina da parte del GIP
del Tribunale di Foggia di un amministratore giudiziario, con il compito quindi
di attuare tutte le procedure per la regolarizzazione della corretta gestione
aziendale, assicurando anche il pieno ed effettivo ripristino dei diritti dei
lavoratori. Queste realtà aziendali, nel complesso, nel periodo oggetto
dell'indagine avevano un totale di 222 dipendenti, che, oltre ai 1968 ettari di proprietà,
ne lavoravano numerosi altri presi in affitto, per un volume di affari nel 2019
calcolato in oltre 5 milioni e 800 mila euro.
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