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Cinquant'anni di sacerdozio di Padre Martella, cuore di Sant'Alfonso de' Liguori: festa ed emozioni con i parrocchiani

È ritornato a celebrare dopo oltre tre anni dalla fine del suo mandato nella parrocchia di Sant’Alfonso Maria de' Liguori. La ricorrenza è stata una di quelle a cui non si poteva rinunciare, perché padre Martella ha voluto condividere con la sua ex comunità parrocchiale i suoi 50 anni di ordinazione sacerdotale. Una serata fredda e piovosa, ma che non ha minimamente scalfito la forza di un uomo, che è costretto a convivere con una malattia che ha su di lui solo il potere di rallentarlo ma non di fermarlo.

IL SACERDOTE. Pur con un passo incerto ha portato una luce riflessa e un calore in una parrocchia che non è stata solamente la sua casa per ben otto anni, ma è stata anche la casa per tanti fratelli bisognosi in cerca di un luogo sicuro. Una persona speciale padre Martella, uno di quei sacerdoti di frontiera per cui il servizio al prossimo viene prima di tutto, dove non si può dire di no a chi chiede di una tazza di latte caldo o a chi necessita di un letto perché fuori piove e fa freddo.

LE OPERE. Sono state ricordate gran parte delle opere da lui fortemente volute e realizzate. Tra le tante il campetto da calcio, il parco giochi per i più piccoli e il suo “tabernacolo” come lo definì don Ciotti durante una visita in parrocchia: il dormitorio di sant’Alfonso. Quel dormitorio che, dopo la partenza di padre Martella, oggi il Pis - Pronto Intervento Sociale (con partner i Fratelli della Stazione), continua a gestire in via Mastelloni 18, in continuazione con il progetto nato con il religioso e la comunità di Sant’Alfonso.

LA COMUNITA’. Giacomo ci ricorda nella sua lettera che “la fede senza le opere è morta” un insegnamento che il sacerdote, nativo di Santa Maria di Leuca, ha fatto suo in questo mezzo secolo di servizio sacerdotale. Il freddo di un’aula liturgica si è trasformato in un caldo rovente e questa persona, dall’aspetto affaticato ma con una dignità ed una forza d’animo tipica di un ragazzo, ha illuminato una comunità che l’avrebbe voluto abbracciare e festeggiare, come si conviene per una ricorrenza e per una persona speciale, ma che proprio per la sua condizione precaria si è dovuto accontentare di salutarlo con un abbraccio, seppur caloroso, ma simbolico. Don Ciotti ci ricorda che “non basta commuoversi, bisogna muoversi”. Nulla di più vero per una persona che ha dato tanto alla città di Foggia, andando anche contro le istituzioni, scuotendo le coscienze di molti, rimboccandosi le maniche e dimostrando che nulla è impossibile se davvero lo si desidera, anche nel piccolo e nel quotidiano, provando a cambiare la realtà che ci circonda. 

di Saracino Nicola


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