Paolo Borsellino in una fiaba che racconta l’orrore mafioso: il nuovo libro di Dario Levantino
Presentato nel giorno della strage di Capaci
Nel cortile del Museo di Storia Naturale, Dario Levantino ha inaugurato la versione estiva della rassegna letteraria “Fuori gli Autori”, organizzata dalla libreria Ubik e dalla Biblioteca “la Magna Capitana”.
L’EVENTO. In una bella e calda serata di maggio lo scrittore si presenta con il suo ultimo romanzo, “Il giudice e il bambino” (Fazi Editore). A dialogare con l’autore, ormai di casa a Foggia, ci sono la Vicepresidente nazionale di Libera – Associazioni, nomi e numeri contro le mafie, Daniela Marcone, e la professoressa, nonché organizzatrice della rassegna letteraria Pagine d’Autore, Carla Bonfitto. L’incontro ha avuto luogo il 23 maggio, nell’anniversario della strage di Capaci, non a caso Giorno della Legalità nel quale si commemorano le vittime di mafia: al centro della narrazione, pertanto, il giudice Paolo Borsellino.
UNA FIABA PER UNA STORIA ORRENDA. Levantino, muovendosi tra fiaba e realtà riesce, con il suo potere narrativo, a coinvolgere un pubblico giovane su tematiche importati già trattate anche nel precedente libro “Il cane di Falcone”. Un registro del tutto personale che usa premura nel rivolgersi ai giovani lettori, ma che esplicita i fatti della memoria storica con assoluta precisione. “Avevo bisogno di raccontare una storia orrenda senza indugiare nei dettagli più efferati, mi serviva quindi un registro fiabesco e una trama altrettanto fiabesca” confida. È per questo che fa una scelta narrativa prudente ma mai inutilmente edulcorata, un delicato lavoro di protezione dall’efferatezza.
IN PARADISO. La storia si svolge in paradiso e i protagonisti sono il giudice Paolo Borsellino e il piccolo Giuseppe Di Matteo ucciso dalla mafia l’11 gennaio 1996 dopo 779 giorni dal rapimento, per una vendetta trasversale verso il padre Santino, mafioso del clan dei Corleonesi, divenuto collaboratore di giustizia. Il giorno del suo attentato il giudice arriva in paradiso e Dio gli affida un compito delicato: assistere le anime irrisolte che hanno lasciato qualcosa di sospeso sulla Terra, così da evitare il purgatorio. Lo fa anche con Giuseppe che si rivela essere un caso davvero ostico, il piccolo infatti è prigioniero di sentimenti contrastanti verso la famiglia e falsamenti riportati dai suoi carcerieri. L’incontro con il cavallo Mottino sarà quella feritoia dove poter entrare e guadagnare la fiducia del ragazzino dopo diversi tentativi falliti.
LE MAFIE TEMONO LA CULTURA. Il libro offre anche l’opportunità, nel triste anniversario della strage di Capaci, di approfondire il fenomeno mafioso e la sua complessità, i suoi effetti sui giovani e il peso della cultura. “Le mafie temono la cultura — riferisce lo scrittore — perché la cultura, quella con la C maiuscola, non è la conoscenza ma la morale, l’etica. Gioca in noi questo bellissimo effetto, a un certo punto costruisce la nostra morale ed è per questo motivo che hanno ucciso padre Pino Puglisi, perché stava facendo proprio questo”.
RICONCILIARSI CON GLI EX MAFIOSI. Daniela Marcone ricorda inoltre come “Il romanzo-fiaba ‘Il giudice e il bambino’ può essere letto sia con l’immediatezza dei giovani, e sia con un approccio spirituale se non addirittura filosofico”. Pone l’accento anche sulla “necessità” di riconciliarsi con i mafiosi, con alcuni di loro, con quelli che hanno collaborato con la giustizia, con quelli, come Santino Di Matteo, che hanno pagato un prezzo altissimo in termini di sofferenza. “Questa storia ci fa ricordare che Santino ha sofferto e che va recuperato il percorso di quest’uomo che capisce di aver sbagliato” continua Marcone nel suo intervento, parole forti e importanti a cui fanno riscontro quelle dll’uomo: «Ho pagato con la mia coscienza una scelta sbagliata e quando ho cercato di porre rimedio, scegliendo la collaborazione con lo Stato, ho dovuto subire la più vigliacca delle vendette, perdendo un figlio bambino».
LA LUCE DI DIO. Un viaggio quindi alla ricerca della verità sul male assoluto, quel male che è mancanza di un bene dovuto. Alla conoscenza di un Dio verità e giustizia dopo la morte. Di un Dio che è amore e infinito bene. «Lì, solo con il mio fardello e trafitto dalla sua luce, capii che il mistero di Dio era l’amore, che non separa mai le persone. Quella è una cosa che fa il destino, a volte; la morte, forse. L’amore mai» (dal libro di Levantino). Un viaggio che interroga tutti e non solo i protagonisti della mirabile storia dello scrittore siciliano, capace di emozionare e traghettare i lettori verso mondi nuovi e immaginari, ma anche nella memoria storica e collettiva.
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