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Pio e Amedeo: abbasso il politically correct, ma "frocio" e "negro" lasciamoli agli stronzi

Sono cresciuto ascoltando gli Squallor, quelli che hanno sdoganato il linguaggio volgare in Italia, roba irripetibile, non le battutine su tette e i culi che sentiamo ora. E leggendo Cuore, un giornale che era capace di pubblicare una vignetta su Vincenzo Muccioli agonizzante. Poi sono arrivati Elio e le Storie Tese, e poi gli stand-up comedian. A scherzare sui tabù, sul sesso, e perfino sui santi e sui morti. Mo figuratevi se mi scandalizzo se sento qualche parolaccia in tv. Ma quando ti avventuri in certi discorsi hai una strada strettissima davanti. E secondo me Pio e Amedeo non sono riusciti a stare sempre nella carreggiata.

I CONTESTI. Perchè è chiaro che il problema, oltre alle parole, è il modo in cui le si pronuncia. Che il politically correct ha rotto le palle. E che ci sono contesti e contesti. Ma è anche vero che se uno mi dice che non vuole essere chiamato negro io non sono nessuno per continuare a chiamarlo così lo stesso. Specie se quello è il modo in cui lo chiamava chi ha schiavizzato il suo popolo. E se un quattordicenne si sente chiamare “ricchione”, col cazzo (giuste per restare in tema di parolacce) che riesce a riderci sopra.

UN TERRONE A MILANO. Parlo per me. Negli anni in cui ho vissuto a Milano un paio di volte mi hanno chiamato terrone. Non ero un disperato che era scappato da una guerra, e nemmeno un ragazzino isolato dagli amici, anzi avevo un bel vestito e un ottimo stipendio. Ma non ci ho pensato nemmeno un secondo a riderci sopra, e pur essendo una persona pacifica hanno dovuto trattenermi o sarei arrivato alle mani con i tizi che mi avevano insultato.

NON SONO RAZZISTI. Sia chiaro, Pio e Amedeo non sono razzisti, e non cercavano affatto di giustificare i razzisti. E le polemiche precedenti, quelle in cui li si accusava di essere volgari o non rappresentare Foggia non c'entrano nulla, anzi li ho sempre difesi. Ma prima di sdoganare certi linguaggi bisogna pensarci mille volte. Perchè se un quattordicenne piange dopo che l'hanno chiamato ricchione il problema non è la sua mancanza di autoironia, ma la stronzaggine di chi l'ha chiamato così. E io insegnerò ai miei figli che le battute si fanno sui professori, sui presidi, sui preti, sui genitori. Sui potenti. Non sui loro compagni disabili, omosessuali o di colore. Quella non è più satira, è bullismo. E le immagini più belle di Pio e Amedeo sono quelle di quando prendono in giro i calciatori miliardari o portano in america un ragazzo autistico, non quelle di uno sketch in cui ricevono i like di Salvini e le lodi di Libero.

di Sandro Simone


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