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PRIMO MAGGIO/ L'eccidio di Foggia nel 1905: morti in piazza durante lo sciopero

La ricostruzione storica di Salvatore Aiezza

Il Primo Maggio si celebra la festa dedicata al lavoro e ai lavoratori. Si ricordano, in questo giorno, anche le tante lotte che, specie nei decenni a cavallo del 1800 e 1900, coinvolsero lavoratori e sindacati in duri scontri con le forze dell’ordine per la conquista dei propri diritti e il miglioramento delle condizioni lavorative. In tale contesto Foggia ebbe, purtroppo, come vedremo, un ruolo di primo piano. La presenza della ferrovia e della stazione ferroviaria, con i vari fabbricati che fungevano da deposito, dormitorio, officina, ne faceva, infatti, una delle realtà dove più sentiti erano i problemi dei lavoratori e le maestranze che, in quantità sempre più numerosa e con le mansioni più diverse, si trasferivano in quegli anni nella nostra città, unendosi ai nostri concittadini per lavorare nelle ferrovie. (foto manganofoggia.it).

L'ECCIDIO. Già nel 1886, proprio dai ferrovieri di Foggia era stato promosso uno sciopero rivendicativo che si estese anche in altre zone d’Italia e, secondo alcune fonti, sarebbe stato addirittura il primo sciopero nazionale. Fu una manifestazione molto partecipato anche se, successivamente, non mancarono ritorsioni contro i lavoratori scioperanti. Ben più grave e luttuoso fu però il tragico “Eccidio di Foggia” del 18 aprile 1905. Anche questo sciopero ebbe origine da una manifestazione promossa dai ferrovieri e, come tragico scenario, la strada che allora congiungeva Piazza Cavour alla stazione, poco più che uno sterrato, e la piazza stessa. Il 18 aprile del 1905, era giorno di sciopero nazionale dei ferrovieri, una protesta che durò cinque giorni e paralizzò l’intera nazione. A quel tempo le rivendicazioni degli operai del settore erano quasi giornaliere e chiedevano condizioni più umane di vita e sul lavoro. In tale contesto venne proclamato lo sciopero dei ferrovieri dal sindacato dei “Ferrovieri italiani”, da poco nato. Il motivo dell’agitazione era più che legittimo. I lavoratori e le maestranze erano preoccupati dal fatto che il governo non avesse ancora acconsentito alla richiesta di statalizzare le ferrovie, sottraendole all’industria privata, alla scadenza delle rispettive concessioni.

LE GARANZIE. Non bisogna peraltro dimenticare che, prima del 1885, le ferrovie erano già di proprietà statale e solo successivamente vennero affidate, con appositi atti concessori, a società private, per la durata di venti anni. Si comprende quali fossero le “dure” condizioni di lavoro alle quali erano sottoposti gli operai, da i concessionari privati desiderosi solo di trarre il massimo guadagno dalla costruenda rete ferroviaria alla quale erano per lo più addetti i lavoratori. Non vi era nessuna garanzia sugli orari di lavoro, la sicurezza, né esistevano norme a tutela degli infortuni e a tutto questo si accompagnavano stipendi bassissimi. Le stesse compagnie di gestione non garantivano poi ai clienti, condizioni di viaggio sostenibili: resi interminabili dalle malandate condizioni dei vagoni ferroviari; dai forti ritardi e dalle frequenti interruzioni delle linee ferrate. Tali motivi portarono il parlamento, nel 1889, ad istituire una commissione d’inchiesta parlamentare per studiarne le cause.

IL GOVERNO. L’ondata di malcontento che si andava generando venne fatta propria dai liberali che si fecero carico di presentare, con il piemontese Carlo Ferraris, Ministro per i lavori pubblici, il 7 aprile del 1905 un progetto di legge per la “nazionalizzazione della rete ferroviaria”, che conteneva però anche una norma con la quale si equiparavano i ferrovieri ai dipendenti dello Stato e imponeva loro il divieto di sciopero. Questa disposizione causò una reazione talmente forte dei ferrovieri che portò addirittura alle dimissioni, il 12 marzo del 1905, del governo Giolitti. Il venir meno della statalizzazione fu dunque la causa scatenante dello sciopero nazionale dell’aprile 1905. A Foggia, il 18 aprile, agli operai scioperanti e in corteo, concentrati tra il viale della stazione, Piazza Cavour e Piazza Lanza si unirono molti contadini che lasciarono i campi e si riversarono in città. Essi avevano per lo più il compito di vigilare e impedire a chi lo volesse di andare al lavoro. Tutte le vie di accesso alla zona ferroviaria erano presidiate. In particolare, Viale XXIV Maggio e Via Scillitani. In questo contesto, massiccia e rinforzata per l’occasione, era anche la presenza delle forze dell’ordine e dell’esercito intervenuto con un intero squadrone di cavalleria. Sia gli scioperanti che le forze dell’ordine, scelsero Piazza Cavour per schierarsi.

 GLI SCONTRI. La presenza delle opposte fazioni ben presto provocò scintille dovute a insulti e slogan poco graditi. Iniziarono così gli scontri che ben presto degenerarono diventando duri e cruenti e si ebbe la prima sparatoria che aggravò la già seria situazione. Gli scontri andarono avanti sino al tardo pomeriggio e, alla fine, si contarono tre morti, secondo alcune fonti (altre parlano di cinque o, addirittura, sette), tra i quali le cronache ricordano quella di una giovane ragazza affacciatasi alla finestra del palazzo Vaccarella, al tempo sito in Piazza Cavour, raggiunta da una pallottola vagante, e molti feriti. La vicenda i Foggia, ultima di una lunga serie di scontri che in varie parti d’Italia, la nostra provincia compresa, in diversi momenti avevano avuto come vittime i lavoratori, ebbe vasta eco anche in Parlamento, tanto da diventare oggetto di una interrogazione parlamentare al Capo del Governo, Ministro dell’Interno, Fortis, da parte di diversi onorevoli: Salandra, De Felice-Giuffrida, de Andreis, Colaianni e Badaloni. La discussione avvenne il 19 Aprile del 1905, davanti un folto parlamento e oggetto di dure domande e risposte tra il Presidente Fortis e i proponenti l’interrogazione.

LA RICOSTRUZIONE. Nell’occasione venne letto il testo della risposta ufficiale del Prefetto di Foggia che parlava di tre morti e 12 feriti. Si cercò di far ricadere la colpa sui contadini che “erano giunti con forconi” e occupata la stazione per non farvi entrare i lavoratori e, durante i primi disordini, si legge testualmente che: "fu ferito con arma da fuoco il soldato Lapiccirella e fu allora soltanto, come dissi, che un sergente di cavalleria, colpito al viso da una sassata, fece fuoco e contemporaneamente fecero fuoco alcune pattuglie che stavano per essere sopraffatte…". La resistenza, la tenacia e i sacrifici del movimento operaio ebbero tuttavia di lì a poco la giusta ricompensa, perché il 22 aprile 1905, sotto il Governo Fortis, venne approvata e pubblicata sulla G.U. nr 95, la Legge nr 137 che sanciva dall'1 luglio dello stesso anno, il passaggio delle ferrovie allo Stato.
(Salvatore Aiezza)

di Redazione 


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