Raimondo di Sangro, da Torremaggiore al Cristo Velato che suscita la sindrome di Stendhal
Il racconto di Ettore Braglia
Raimondo di Sangro, principe di Sansevero (Torremaggiore 1710 – Napoli 1771), fu un originale esponente del primo Illuminismo europeo. Valoroso uomo d’armi, letterato, editore, primo Gran Maestro della Massoneria napoletana, egli fu – più di ogni altra cosa – prolifico inventore e intraprendente mecenate.
Nei laboratori sotterranei del suo palazzo, in largo San Domenico Maggiore, il principe si dedicò a sperimentazioni nei più disparati campi delle scienze e delle arti, dalla chimica all’idrostatica, dalla tipografia alla meccanica, raggiungendo risultati che apparvero “prodigiosi” ai contemporanei. In virtù della sua concezione prevalentemente esoterica della conoscenza, di Sangro fu però sempre restio a rivelare nei dettagli i “segreti” delle sue invenzioni.
Il suo messaggio intellettuale è così passato alla posterità soprattutto attraverso il ricco simbolismo della Cappella Sansevero, meraviglia dell’arte mondiale, del cui suggestivo progetto iconografico il principe fu geniale ideatore.
LA NATURA. Parte di quel messaggio egli affidò anche ai suoi scritti, e in particolare alla Lettera Apologetica, opera che destò sconcerto sia per l’eccezionalità tipografica sia per il controverso contenuto, tanto da essere giudicata “una sentina di tutte l’eresie” e, in quanto tale, proibita dalla Chiesa romana.
Ora ritenuto un epigono della tradizione alchemica e un “grande iniziato”, ora un interprete della giovane scienza moderna, Raimondo di Sangro alimentò un vero e proprio mito intorno alla propria persona, destinato a durare nei secoli. Con la sua poliedrica attività, ancor oggi avvolta da un alone di mistero, egli incarnò i fermenti culturali e i sogni di grandezza della sua generazione. Così lo ricorda l’iscrizione apposta sulla sua lapide: “Uomo straordinario predisposto a tutte le cose che osava intraprendere […] celebre indagatore dei più reconditi misteri della Natura”. (Ettore Braglia)
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