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Controlli al Reddito di cittadinanza, avvocato foggiano solleva la questione di legittimità costituzionale

Dal tribunale di Foggia alla Corte Costituzionale. E' il caso, che potrebbe fare giurisprudenza in tutta Italia, che interessa i percettori del Reddito di cittadinanza. E a sollevare la questione di legittimità è stato lo Studio Legale Commerciale Tributario di Foggia.

LA MISURA. Com'è noto, il Reddito di cittadinanza è un sussidio che rappresenta una misura di integrazione del reddito volta ad aiutare e sostenere chi si trova momentaneamente in difficoltà economica. Ne possono beneficiare tutti i cittadini italiani o comunitari (ovvero extracomunitari purché dotati di permesso di soggiorno e residenti in via continuativa in Italia da almeno 10 anni al momento della presentazione della domanda) che rispettino i requisiti elencati dalle norme previste a riguardo, primo tra tutti il rispetto di parametri legati ai requisiti patrimoniali e al reddito Isee. Nel corso del tempo, però, numerosi sono stati i procedimenti penali aperti dalle diverse Procure italiane che, su sollecitazione dell’Inps e delle indagini esperite dalle sezioni territoriali della Guardia di Finanza, hanno ritenuto di indagare diversi percettori del reddito.

LE VINCITE. Uno di questi interventi, a Foggia, ha interessato una persona a cui è stato tolto il Reddito poiché - era l'assunto accusatorio - il percettore ometteva di comunicare le variazioni del reddito e del patrimonio, informazioni dovute e rilevanti ai sensi dell'art. 11 l. 26/2019: ciò avveniva - secondo l'accusa - in quanto ometteva di comunicare la variazione del proprio patrimonio mobiliare derivante da vincite al gioco on-line, conseguite negli anni di erogazione del beneficio.

LA LEGITTIMITA'.  L’avv. Oreste di Giuseppe, dello studio legale LCT, ha sollevato davanti al Tribunale di Foggia - Giudice dell’Udienza preliminare, dott.ssa Bencivenga -  la questione di legittimità costituzionale in riferimento agli obblighi di comunicazione di variazione patrimoniale (art. 3 del decreto) e alle relative sanzioni (art. 7 del decreto) della disposizione legislativa.

LA DECISIONE. Secondo l’assunto sollevato dal legale, le disposizioni richiamate risultano sprovviste di quella chiarezza e tassatività, nonché di idonea intelligibilità, che sono richieste obbligatoriamente in ogni norma giuridica e, ancor più, nelle norme dalla cui applicazione derivano nuove e specifiche fattispecie di reato. Secondo il Giudicante, che ha sposato le tesi proposte dall’avvocato della difesa, “la questione di legittimità costituzionale come sollevata dalla difesa dell'imputato, è senz'altro rilevante, dal momento che la decisione del giudice sul rinvio a giudizio chiesto dal Pm dipende dalla decisione sulla illegittimità o meno della normativa indicata”.

GLI ARTICOLI. “La questione di illegittimità costituzionale sollevata dalla difesa dell'imputato - prosegue l'ordinanza - non risulta manifestamente infondata, in relazione alla dedotta violazione degli artt.3 e 25 della Costituzione. Difatti sono proprio i principi costituzionali di uguaglianza sostanziale e di tassatività che diventano un criterio guida nella· valutazione che questo giudice è chiamato ad operare con riferimento al profilo della non manifesta infondatezza della sollevata questione di legittimità costituzionale. Tale criterio guida innanzitutto porta a ravvisare nella necessità di un rinvio ad ulteriori leggi, ormai arcaiche e non menzionate nel decreto, una ragione giustificatrice della sollevata questione di legittimità costituzionale".

I PUNTI. Nello specifico, l'art. 7 del decreto, se da un lato richiama l'obbligo di comunicare "le variazioni del reddito e del patrimonio" dall'altro include la locuzione "altre informazioni dovute e rilevanti" senza fare alcun riferimento su cosa debba essere ricompreso in queste "altre informazioni". Parimenti deve dirsi dalla lettura dell'art. 3 atteso che la indicata norma in alcun modo indica le modalità con cui comunicare "le variazioni" in cui vengono fatte rientrare anche le vincite da gioco (vincite che, appunto, riguardano il caso in esame). In verità solo il Modello per le comunicazioni predisposte dal ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali al punto g) indica tra l'altro "l'obbligo di comunicare anche le vincite da gioco" sempre che comportino la perdita dell'ottenimento del sussidio. Per la disciplina delle dichiarazioni di vincite da gioco viene fatto un implicito rinvio al DPR 197 del 1986 Testo Unico delle Imposte sui Redditi dove si precisa che "fatte salve le disposizioni di cui al comma 1 bis, i premi e le vincite di cui alla lettera d) del comma 1 dell'art. 67 costituiscono reddito per l'intero ammontare percepito nel periodo di imposta, senza alcuna deduzione".

IL REDDITO. Peraltro - ribadiscono dallo Studio LCT -, si tratta di un testo piuttosto datato che non tiene conto di tutte le nuove forma di giochi, ivi compresi quelli on line che hanno un meccanismo e delle procedure diverse oltre che più celeri e immediate. Invero la dichiarazione delle vincite cosiddette lorde, così come richiesto dalla norma del solo Testo Unico e mai ripresa nella novella legislativa, non comportando la deduzione dalle stesse dell'importo giocato dal giocatore determina la paradossale circostanza per cui in sede ISEE venga dichiarato un reddito che in realtà non è di fatto esistente per il cittadino e, di fatto, non rappresenta una sua capienza economica.

L'ATTESA DELLA DECISIONE. Secondo l’avv. Di Giuseppe il paradosso è che “In sostanza, sommando più giocate di pari importo, il reddito del cittadino risulta sulla carta altamente incrementato, facendo così fuoriuscire lo stesso dai parametri previsti per ottenere il sussidio statale mentre di fatto il giocatore non ha incrementato in tal modo la sua ricchezza. Appare evidente come si crei una disarmonia nella norma, una falsa applicazione della stessa, rectius della ratio della stessa, che dovrebbe espressamente prevedere la revoca del beneficio allorquando in concreto, siano superati i limiti di reddito previsti”. Tanti percettori tratti a giudizio aspettano ora la decisione, anche perché l’Inps - alla luce dei giudizi pendenti -, sospende il beneficio e richiede la restituzione dell’indebito.

di Redazione 


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