Che il cibo non riguarda solo la sfera economica ma che è soprattutto un fenomeno culturale lo affermano da anni gli antropologi, i quali intravedono nella sua preparazione, l’evoluzione dell’uomo dalla specie animale, e che vedono nella cottura e nella sua conservazione, il motivo primario della continuazione della specie umana.
L’annuncio di un’ennesima apertura di un Discount a Foggia, in via San Severo e, prossimamente anche in via Lucera, non riguarda, pertanto, solo gli addetti del settore, ma coinvolge trasversalmente tutti gli abitanti della nostra comunità, sia come consumatori che come cittadini. Il fatto strano, che non convince, è che ad investire a Foggia siano solo Discount, peraltro provenienti da Paesi europei che hanno standard qualitativi di gran lunga al di sotto di quelli italiani, riconosciuti tra i più rigorosi e laboriosi del mondo. Questo fatto indigna non poco coloro i quali da anni si spendono per la promozione della cultura della qualità che investe i prodotti di largo consumo, quelli alimentari in particolar modo.
Il territorio foggiano non merita una diffusione selvaggia di nuovi Discount. Su questo territorio si moltiplicano esperienze alternative di comunicazione e promozione dei prodotti agroalimentari, come quelle dei GAS (gruppo di acquisto solidale) i quali impiantano orti biologici per le esigenze di piccoli gruppi di consumatori; slow food, che si spende per la promozione ed il consumo delle eccellenze in terra di Capitanata; Le Sentinelle del Gusto, che promuovono incontri formativi su specifici prodotti a km 0; l’Università di Foggia dip. Agraria, che investe sulla ricerca e l’innovazione dei prodotti a vocazione territoriale.
Come si spiega il fatto che Foggia, fino a qualche tempo fa, era candidata ad essere sede dell’Agenzia Alimentare Europea, ed oggi diventa terra di conquista dei Discount?
In tempi di crisi la diffusione e la risposta che riescono a dare i Discount sembra essere l’unica via di uscita per sopravvivere in modo dignitoso. Peccato che la crisi non ci fa cogliere l’opportunità di incoraggiare stili di vita diversi, più sobri ma soprattutto più salubri. Perché di questo si tratta: uscire dal Discount con il carrello pieno di prodotti di marche impronunciabili, senza chiedersi dove e quando siano stati prodotti, con buona pace della freschezza, della qualità e a volte della tracciabilità. Sembra una lotta impari. Da qualche tempo i negozi di vicinato si stanno convincendo che solo attraverso la commercializzazione di prodotti di qualità si può stare sul mercato, facendo opera di persuasione verso il consumatore a mangiare meno ma meglio. Un mangiare meno che è in linea con le direttive dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, la quale denuncia, per i paesi occidentali, un crescente livello di obesità con inevitabili ricadute sulla salute dei cittadini e relativo dispendio di risorse economiche per far fronte alle costose cure mediche.
Questo incessante lavorìo viene attaccato alla base ogni qualvolta assistiamo all’apertura di un Discount perché modifica lo stile di acquisto dei consumatori. La diffusione dei Discount spingerà il cittadino verso il consumo di prodotti dal dubbio valore qualitativo. Se ogni Discount assorbe la clientela di circa dieci negozi tradizionali, tra qualche anno saremo costretti a mangiare pane surgelato e latte microfiltrato.
Nel Discount l’unico mezzo di persuasione all’acquisto è il prezzo. Non c’è informazione perché i prodotti sono sconosciuti e non c’è comunicazione perché il personale è ridotto all’osso. Una strategia per evidenziare il divario di prezzo tra un prodotto di marca e uno sconosciuto è quella di mettere il prodotto di marca di fianco a quello da Discount, facendo in modo che il consumatore associ il prodotto che non conosce a quello a lui già noto. Li chiamano Soft Discount perché all’interno troverete anche prodotti di marche leader. Non dimentichiamo, però, che l’unico denominatore comune tra le aziende multinazionali e i Discount è il consumismo. In una riunione di lavoro, un manager di un’importante azienda multinazionale ci confidò che, pur di fare business, avrebbero dato i loro prodotti anche agli extracomunitari che stanno ai semafori. Volete che non li diano ai Discount?
Ma l’apertura di ulteriori Discount sul territorio di Foggia produce disagi anche dal punto di vista sociale, oltre che economico. Dare il consenso all’apertura di una tipologia di attività commerciale come quella dei Discount vuol dire ritenere i cittadini foggiani poco attenti alla qualità degli alimenti, cittadini poco capaci di produzioni locali, cittadini poco interessati alla “storia” di un prodotto. Per fare un esempio è come se qualcuno decidesse che a Foggia si debba ascoltare solo musica napoletana, senza andare incontro alle esigenze di altri gusti musicali.
Ma di chi sono le responsabilità di questo cambiamento in atto sul nostro territorio, chi rilascia queste autorizzazioni e, soprattutto, ci sarà un limite? Noi riteniamo che le responsabilità vadano ricercate non soltanto a livello istituzionale, in termini di licenze e permessi a costruire che sono rilasciati dagli organi preposti al Comune, ma anche e soprattutto degli organi di tutela del commercio (Camera di Commercio e Confcommercio in primis), e di quell’arcipelago di associazioni a tutela dei consumatori che avrebbe il dovere di opporsi a questo tipo di esercizi commerciali.
Crediamo che una città come Foggia, in questo momento, abbia bisogno di “differenziarsi” e non solo per tipologie di esercizi commerciali ma anche sul piano della raccolta dei rifiuti che coinvolge direttamente le nostre scelte quotidiane. Scegliere di mangiare “meno ma buono” va anche nella direzione della salvaguardia dell’ambiente, ma il consumismo cieco da Discount sembra non voler rinunciare alla quantità alimentare che coincide spesso con la quantità di rifiuti prodotta.
dott. Giuseppe Donatacci