Rosarno meglio della Capitanata. Almeno per i lavoratori migranti impegnanti in agricoltura. Anche lì, certo vengono sfruttati e schiavizzati dai loro caporali, ma meno che nelle campagne della provincia di Foggia. Parola di Enrico Pugliese, sociologo e profondo conoscitore del mondo dell’immigrazione, che nel suo ultimo lavoro di ricerca ‘Immigrazione e diritti violati: i lavoratori immigrati nella cultura del Mezzogiorno’, prova a raccontare le condizioni di vita e di lavoro dei braccianti stranieri nell’agricoltura meridionale.
INTRECCIO IMPRESA-CAPORALATO “Nella ricerca – dice il professor Pugliese all’agenzia di stampa Redattore Sociale - sono emerse connessioni tra le condizioni del regime agrario e fondiario, il fenomeno del caporalato e le condizioni di vita dei lavoratori. C'è un sistema determinato dall'intreccio tra prepotenza dell'impresa, tra violazione delle leggi per un verso, e legislazione favorevole alle imprese per un altro, tra presenza del caporale, che comunque fornisce dei servizi, che fa la miseria dei lavoratori. Le condizioni peggiori si riscontrano proprio nelle zone in cui l'agricoltura è più ricca: ad esempio, Rosarno è nota alle cronache per la grave situazione, ma è comunque meno grave che in Capitanata”.
FUORI DAI CENTRI ABITATI Ma non solo. Nella sua ricerca Pugliese ricorda che “ci sono grandi aziende, che usano molta manodopera per brevi periodi dell'anno. Quindi i lavoratori devono arrivare da fuori, insediandosi fuori dai centri abitati perché le estensioni di terreno sono molto grandi. Le aziende non forniscono ciò che dovrebbero per legge, l'acqua potabile innanzitutto, il caporale può vendere bottigliette a due euro l'una, e in generale è proprio in queste situazioni che si creano le condizioni in cui c'è una maggiore incidenza della forma estrema del caporalato, dato che il controllo sociale e anche repressivo da parte dello stato è più difficile”. Ed il riferimento corre ai vari ‘ghetti’ presenti in provincia di Foggia in cui vivono centinaia di migranti coinvolti nei lavori agricoli.
CONTRATTO NAZIONALE DEL SOTTOSALARIO E tra le questioni più interessanti sollevate dallo studio di Pugliese, raccolto in volume da Ediesse editore, anche l’esistenza di una sorta di ‘contratto nazionale del sottosalario’. “Nelle aree che abbiamo studiato noi (Campania, Puglia e Calabria, ndr) abbiamo riscontrato che grosso modo i livelli di retribuzione, al lordo del taglieggiamento operato dal caporale, stanno tra i 2,5-3 euro l'ora quando va bene, e i 20-25 euro al giorno. Non ci sarebbe di per sé originalità nella nostra scoperta, – puntualizza Pugliese nell’intervista - ma abbiamo riscontrato che, siccome questa paga è identica ovunque, è come se ci fosse una sorta di contratto nazionale dei lavoratori agricoli sul sottosalario e sul grave sfruttamento. E', appunto, come se ci fosse una specie di ‘accordo nazionale sul sottosalario’, come se ci fosse un meccanismo di equilibrio, di omogeneità, che fa riflettere a chi è che stabilisce i prezzi. In apparenza, pare che se ne occupi solo il caporale, in realtà chi dà lavoro a questa gente e realizza profitti colossali sulle loro spalle attraverso quello che definiamo ‘grave sfruttamento lavorativo’ è l'impresa. Ebbene, nel dibattito non compare mai, come se non ci fosse, come se non desse lei mandato al caporale. E' un aspetto di denuncia che ci sembrava importante chiarire”.