Storia nera della Uno bianca, il teatro divulgativo di Antonio Diurno e Adelmo Monachese
Fa registrare il tutto esaurito la prima foggiana di “Storia nera della Uno bianca” di Adelmo Monachese.
Si porta in scena un’opera di teatro divulgativo: a ospitare quella che è una storia di lucida follia, ma allo stesso tempo un pezzo importante di memoria storica, è la sala Locus Mirabilis della libreria Fumettosmania, con il “Teatro del pollaio - Compagnia dell'accade” (direzione artistica Rosanna Giampaolo).
A salire sul palco per monologo crime è Antonio Diurno, attore, criminologo e autore del saggio “Cattive Divise – La banda della Uno Bianca” (Augh! Edizioni).
LE VITTIME. Un’ora dove l’autore scava nei meandri di una delle pagine più oscure e terrificanti della cronaca italiana: la Banda della Uno Bianca, un’organizzazione criminale che ha operato soprattutto tra l’Emilia-Romagna e le Marche, in un arco temporale che va dal 1987 al 1994.
Fu la banda della Uno bianca perché era l’auto più comune in quegli anni e fu la più usata nelle azioni criminali del gruppo.
Criminali in uniforme, si scoprirà dopo, che lasciarono dietro di loro una lunga scia di sangue: 24 omicidi, oltre un centinaio di feriti in 103 azioni criminali, rapine, assalti e raid contro extracomunitari e nomadi. Una spirale di violenza apparentemente inspiegabile, “l’inutile” ferocia che non risparmiò nessuno, priva di movente. Sotto i colpi della banda morirono, o vennero feriti, poliziotti, giovanissimi carabinieri, operai, pensionati, titolari di servizi commerciali e persino un cane che aveva osato alzare lo sguardo. Tutto senza senso se non quella del potere e del denaro… forse.
GLI AUTORI. Una tragedia che sembrava dovesse rimanere avvolta nel mistero.
Arrestati dagli stessi colleghi tra sconcerto e incredulità, i fratelli Savi, Roberto e Alberto erano entrambi poliziotti. Pietro Gugliotta era operatore radio nella questura di Bologna e Marino Occhipinti poliziotto presso la squadra mobile di Bologna. Luca Vallicelli era, invece, agente scelto presso la polizia stradale di Cesena; solo Fabio Savi era l’unico a non indossare la divisa.
LA RIFLESSIONE. Assistere a un lavoro teatrale che ricostruisce vicende del passato spinge a interrogarsi. Il religioso silenzio che scende in platea diventa complice di questa narrazione sentita, patita e impattante, a tratti struggente. Lascia con il fiato sospeso ed è un racconto preciso e pulito nell’esposizione. Diurno snocciola dati, fatti, traccia le tappe della banda, ma non è solo sterile cronologia, c’è pathos, commozione. Vengono ricordate le vittime, importante restituire loro la giusta collocazione emotiva, e gli uomini che, una volta superato lo sgomento della rivelazione sull’identità dei responsabili, si sono attivati per la cattura di altri uomini in divisa divenuti però nemici dello Stato, quello Stato che avevano giurato di servire
LA NARRAZIONE. Lo spettacolo ha cercato di far emergere anche tutte le criticità del processo investigativo, i depistaggi e i dubbi per non essere riusciti a identificare prima, anche in presenza di forti indizi, i veri responsabili criminali all’interno del corpo di polizia, le mele marce.
Mettere in scena una storia così complessa ha donato comunque e incredibilmente uno spazio intimo di riflessione. Una narrazione in grado di ricucire squarci di memoria storica e verità nascoste alcune delle quali ancora troppo celate.
Un viaggio che traccia e definisce i lineamenti di mostri dalle sembianze umane, che prova a far scorgere, se mai ce ne fossero, tracce di umanità in chi ha commesso crimini bestiali, negli angoli più oscuri della sua mente.
Il male come scelta corruttiva al bene e non radicato nell’uomo. Una scelta precisa a seguire inclinazioni personali a fronte di una legge morale universale.
Quindi la domanda a conclusione di questo viaggio che sorge naturale è: cosa spinge una persona a scegliere il male? di Cinzia Rizzetti (foto Luciana Fredella)
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