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"Papà torna presto": saluti, emozioni e rituali sui "mitici" Lecce - Torino/LA RUBRICA

Il racconto di Salvatore Agostino Aiezza

…Le feste: finiscono, oggi, e finivano, nel passato, per tutti, purtroppo! E il ritorno alla quotidiana routine non è mai piacevole, per nessuno. Ma in passato, specie nel meridione d’Italia, dove il fenomeno della emigrazione verso città e Paesi lontani, era piuttosto rilevante, la fine delle feste segnava veramente un giorno triste e malinconico per tanti nostri concittadini che dovevano salutare i loro cari dopo i bei giorni di spensierati trascorsi insieme, per fare rientro ai luoghi di lavoro, lontano da Foggia. Le partenze avvenivano, nella quasi generalità dei casi, con il treno, ed anche a questo particolare aspetto è legata la storia e importanza, come potrete leggere, della nostra stazione ferroviaria, almeno sino a pochi anni orsono. Buon rientro, allora, a tutti i nostri concittadini che ancora oggi lasciano Foggia dopo le festività ed, a tutti voi, Buona lettura. (Salvatore Aiezza) 

A MILANO, TORINO, BERNA E MONACO: LA PARTENZA DEGLI EMIGRANTI DOPO LE FESTE. La storia dei collegamenti ferroviari con il nord Italia e l’Europa è legata, per tantissimi nostri conterranei, e di quelli delle province limitrofe, ai mitici “Lecce-Torino” degli anni che vanno dal 1960 agli inizi del 90. Soprattutto ai tre convogli contrassegnati dai nn.660, 662 e 512, in partenza la sera, da Foggia, rispettivamente alle 20.38, alle 21.03 e alle 22.12. La loro destinazione era Torino (dove giungevano tra le 9 .00 e le 10.00 del mattino seguente), ma c’erano carrozze e treni speciali che proseguivano per la Svizzera, Francoforte, Monaco, altre per Venezia o La Spezia e Genova. Erano in pratica, i treni più utilizzati dagli emigrati e militari. Ne parliamo in questa rubrica, perché essi rappresentavano, come vedremo, per tantissimi che partivano per tornare a lavorare nelle fabbriche del Nord Italia o delle Capitali Europee, oppure nelle caserme del Friuli e Veneto, l’ultimo contatto con la loro terra natia e le loro famiglie, dopo avervi trascorso le festività natalizie e di fine anno. La categoria di espresso o intercity, di quei treni, li rendeva, peraltro, molto popolari, per il costo contenuto rispetto a quelli di categoria superiore, e anche relativamente comodi perché vi erano le famose cuccette per poter riposare durante la lunga notte di viaggio. In realtà, di quelle cuccette, ve ne erano 4/6 per scomparto e, tra bagagli e affollamento di persone si può immaginare cosa diventavano dopo poche ore di viaggio. La memoria di quanti hanno superato gli “..anta” non può non andare alle scene che , soprattutto alla fine dei periodi coincidenti con le festività Natalizie e che poi si sarebbero ripetute alla fine dell’estate, in particolare nel mese di agosto, si presentavano ai nostri occhi all’interno della stazione. Sin dal primo pomeriggio le maestranze addette alla stazione preparavano le carrozze per accogliere i tanti emigranti e soldati che, altrimenti, non avrebbero trovato posto nei già affollatissimi convogli in arrivo da Lecce e Bari. In genere si trattava di 3/4 vagoni che sarebbero stati aggangiati ai treni sopra ricordati. Esse venivano posteggiate sui binari tronchi verso il lato nord della banchina prospiciente il primo binario. Ad attendere che fosse possibile prendere posto, vi erano, sin dalle prime ore, già numerosi viaggiatori, i quali non volevano correre il rischio di doversi fare il viaggio seduti sulle valigie o sdraiati nei corridoi, come spessissimo accadeva. Al primo imbrunire cominciavano ad arrivare, stipati nelle “corriere” che collegavano i nostri Paesi del Subappennino e delle vicine province a Foggia, oppure con le auto prese a noleggio, le tante persone che avrebbero viaggiato su quei treni. In poco tempo il piazzale antistante la stazione ed i marciapiedi del primo binario venivano invasi letteralmente da centinaia di uomini e donne che trasportavano ogni tipo di bagagli e molto spesso bambini. Si trattava quasi esclusivamente dei nostri emigranti che avevano finito il loro periodo di ferie e dovevano rientrare in una delle tante fabbriche torinesi (la Fiat in primis), o del nord Italia; ma anche tanti che andavano in Svizzera o Germania. 

I SALUTI. A volte c’erano interi nuclei famigliari con tanti bambini al seguito che, poverini, avrebbero dovuto attendere ore e ore prima di partire per il lungo viaggio: immaginabili disagi, pianti e problemi vari. Più spesso però, erano solo gli uomini che partivano, ed in tal caso si assisteva a patetiche e comprensibili pianti e abbracci che seguivano il distacco: perché il momento della partenza, con il treno, è diverso e più angosciante, per chi resta e chi parte, rispetto a qualsiasi altro mezzo di trasporto; persino dell’aereo. Nulla rende più triste quel momento, quando la partenza e l’allontanarsi del treno: con la mano fuori dal finestrino che ti saluta, spesso sventolando un fazzoletto, e mogli, madri, con i figli più piccoli in braccio, che dal marciapiede ricambiavano quel saluto tra le lacrime, mentre spiegavano ai bambini più piccini che il loro papà andava via per lavorare e garantire loro un futuro più sereno, e che presto sarebbe ritornato. Quelli che più spesso giungevano all’ultimo momento rischiando il posto in piedi, erano i militari. 

LA LEVA. Molti giovani di leva, che allora era obbligatoria, dovevano raggiungere le caserme del nord: in particolare in Veneto, Friuli e Piemonte e aspettavano l’ultima ora per salire sul treno e sfruttare sino all’ultimo momento il tempo per stare insieme ai famigliari e alla fidanzata. Dal primo pomeriggio, dunque, le carrozze in sosta a Foggia, che attendevano di essere agganciate ai treni della sera per il Nord, venivano occupate dai tanti viaggiatori con al seguito ingombranti valigie, faticosamente trascinate sul marciapiede. Erano piene di ogni ben di Dio. Chi poteva cercava di portar via quante più cose della sua terra. Per giorni, prima della partenza, le madri e le mogli preparavano sughi, intingoli e quant’altro, che poi richiudevano in barattoli e contenitori. Almeno per qualche giorno i loro cari avrebbero potuto ancora gustare i sapori e i ricordi della loro casa. Ovviamente, la lunga attesa comportava anche il doversi equipaggiare per consumare qualcosa da mangiare. La cosa si risolveva quasi sempre aprendo grossi involucri di carta, quella color marrone, che si usava nei negozi, una volta, per incartare il pane e la pasta,(che allora veniva venduta anche sfusa), dai quali fuoriuscivano grosse fette di pane o grandi panini caserecci imbottiti all’inverosimile. 

I COMPITI. Quando le carrozze erano state pulite e sistemate dagli addetti, e le porte venivano aperte, si assisteva a veri e propri assalti per cercare di trovare posto. Proprio come quelli che vediamo oggi in vecchie foto degli anni 60. A volte ci si organizzava, per modo che più componenti della stessa famiglia, si dividevano i compiti tra chi saliva sul treno per prendere il posto e chi da giù, attraverso il finestrino, “passava” i bagagli. Una volta preso possesso dei posti negli scompartimenti, ciascuno cercava di “ritagliarsi” il proprio spazio. Si sistemavano i bagagli, quelli che ci andavano, il resto si cercava di metterli dove meglio si poteva. Chi riusciva si metteva “comodo”, allungando i piedi sul sedile di fronte. I bambini erano i più difficili da tenere fermi. Era necessario anche coprirsi bene perché le carrozze, in attesa di essere agganciate al convoglio in arrivo erano prive di alimentazione e quindi non funzionava il riscaldamento e non c’era la luce. Insomma, somigliava più ad una sorta di bivacco. Finalmente arrivava l’orario e l’attesa aveva fine. Le carrozze venivano prelevate dai binari dove erano rimesse e congiunte ai lunghi convogli provenienti da Bari o da Lecce, già pieni di tanti altri migranti. 

I MESSAGGI. Ora, si, era davvero giunto il tempo dell’arrivederci: “Papà torna presto, Telefona, Non stancarti, Scrivi subito” Questi i messaggi che, con una nostalgia infinita, chi restava, lasciava a chi partiva e mentre il treno si allontanava e le donne, cercavano l’ultima carezza e l’ultimo bacio, attraverso il finestrino, con il loro caro, la stazione, lentamente, si svuotava e non restavano che i ricordi delle belle giornate di festa appena…forse troppo in fretta..trascorse.

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di Redazione 


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