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Tragedia Stornara, tutti sapevano almeno dal marzo 2020: la comandante dei vigili che segnalò fu rimossa dal sindaco

Il terreno dove sorge il campo Rom di proprietà dei genitori di Masciavè, del clan mafioso omonimo

La morte dei due fratellini bulgari di 2 e 4 anni, Chris e Birka, che hanno perso la vita lo scorso venerdì 17 dicembre, a seguito dell'incendio della loro baracca nel campo in cui vivevano sulla strada Stornara-Cerignola, si doveva e si poteva evitare. Non bastano i comunicati di circostanza e i post social di forze politiche e corpi intermedi. Che in quel campo rom vivevano numerosi minori e non vi fossero le minime condizioni igienico-sanitarie lo sapevano da tempo tutti, anche le istituzioni e nessuno ha fatto nulla o quasi. Ad esserne convinta, carte alla mano, è l'attuale comandante dei vigili urbani di Orta Nova, Angela Rutigliano, che nel 2020 rivestiva l'incarico a Stornara e che aveva segnalato per tempo la grave situazione a poca distanza dal paese. Risultato: il 31 dicembre 2020, il sindaco Rocco Calamita non gli ha rinnovato l'incarico.

L'INCENDIO DEL 2020. È il momento del dolore, certo. La tragedia immane che è costata la breve vita a due bimbi inermi, tuttavia, impone l'individuazione di responsabilità precise su omissioni e mancanze che da anni consentono a centinaia di persone di vivere senza le minime condizioni igienico-sanitarie. Che le autorità erano ben informate della situazione è cosa certa. Lo è quanto meno a partire dalla data di un altro incendio, avvenuto nella notte tra il sei e il sette marzo 2020. In quella occasione, ad andare a fuoco furono ecoballe, sostanze plastiche, tessuti, scarti di edilizia. Rifiuti, insomma, accatastati in una discarica abusiva su un terreno di circa mezzo ettaro, in Contrada Contessa, contiguo al campo Rom.

LA RELAZIONE DI SERVIZIO. Nella relazione di servizio, redatta solo qualche giorno dopo, il 24 marzo 2020, dalla comandante Angela Rutigliano e inviata a Prefettura, Carabinieri, Arpa, Asl e Sindaco di Stornara, la dirigente informava dell'esistenza dell'accampamento di nomadi attiguo all'area dell'incendio, situazione aggravata dalla presenza di molti minori e dal fatto che sull'intera area vi erano cavi elettrici e allacci abusivi. La richiesta per gli enti in indirizzo era quella di un “qualsivoglia intervento a tutela della pubblica e privata incolumità, soprattutto in merito all'esistenza del campo Rom, con presenza di minori, in una condizione igienico-ambientale manchevole di tutti i requisiti”.

L'INTERVENTO DELL'ASL. A maggio 2020, la vigilessa richiede anche l'intervento dell'Asl per un sopralluogo congiunto che avviene l'uno giugno successivo. Il Dirigente del Servizio Igiene e Prevenzione Area Sud, Michele De Simone, constata che l'area “è colma di rifiuti e la zona è occupata da persone di varia nazionalità che vivono in baracche prive di qualsiasi igiene con mancanza di approvvigionamento idrico-potabile e di servizi igienici regolarmente allacciati alla rete fognante”. Tradotto: mancano acqua e bagni. Per questo il dirigente chiede al Comune di “voler urgentemente bonificare tali aree” e, in particolare, “allontanare ogni tipo di rifiuto che potrebbe essere nuovamente interessato da incendi di probabile natura dolosa”.

IL CENSIMENTO MANCATO. Riletta a distanza di un anno la richiesta dell'Asl è un triste presagio. Angela Rutigliano non si ferma qui e scrive anche al Prefetto chiedendo un incontro e segnalando la presenza del campo Rom in cui vivono 400 persone di cui 150 minori. Eppure, anche se l'incontro poi avviene, nulla si muove. Anche la Procura dei minori di Bari è allertata. Nel dicembre 2020 scrive a Questura, Carabinieri, Guardia di Finanza affinchè in località Contessa, tratturello Regio Ponte Bovino, sia effettuato il censimento del campo Rom “con l'impiego di unità sufficienti a far fronte all'emergenza del caso, con l'apporto di personale di tutte le forze dell'ordine”. Anche in questo caso l'appello cade nel vuoto.

TERRENO DI UN MAFIOSO. Ma vi è di più. Il terreno su cui furono bruciate le ecoballe e quello attiguo, dove vive la comunità bulgara, appartiene ai genitori di Mauro e Nicola Masciavè, appartenenti al clan mafioso omonimo, operante a Stornara, retto proprio da Mauro. Entrambi i fratelli furono deferiti all'Autorità giudiziaria in occasione dell'incendio dell'otto marzo 2020 per “gestione di rifiuti non autorizzata”. Nicola Masciavè è stato deferito anche per violazioni in materia di armi e violazione delle prescrizioni di sorveglianza speciale a cui è sottoposto. È lui uno degli ex dipendenti della Tecneco per i quali il prefetto Grassi emise il provvedimento di interdittiva antimafia nei confronti della società di gestione dei servizi urbani in diversi comuni della provincia. Il clima di intimidazione da queste parti la fa da padrone. Il timore di ripercussioni è alto. Angela Rutigliano ha già 'pagato' per il suo interessamento. Mentre era in auto è stata speronata e in un'altra occasione minacciata e invitata a “farsi i c...i suoi” sulla situazione del campo. Alla fine dell'anno 2020, il suo incarico a Stornara non è stato rinnovato dal sindaco Rocco Calamita, il suo impegno continua a Orta Nova. La comunità bulgara è particolarmente sospettosa rispetto a qualsiasi ingresso dall'esterno. Solo sotto la garanzia dell'anonimato, qualcuno racconta che in realtà per stare in quel campo loro pagano un 'fitto'. In pratica, periodicamente versano un importo a Nicola Masciavè che gestisce la 'redditizia' attività immobiliare. Voci e indiscrezioni che a Stornara trovano conferme. Eppure, finchè ci è 'scappato il morto', anzi due con tutta una vita davanti, tutti hanno lasciato fare. Troppo tardi ora inviare comunicati strappalacrime. (foto Ansa)

di Michele Gramazio


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