Stampa questa pagina

Un anno da vescovo, l'analisi di mons. Ferretti: "Scendere in strada è la normalità. Foggia ha bella gente ma c'è una subcultura da combattere" L'INTERVISTA

Era in Africa orientale, a Maputo (in Mozambico), Don Giorgio Ferretti quando Papa Francesco lo ha nominato Vescovo dell’Arcidiocesi di Foggia-Bovino. Una nomina inaspettata ma accolta in piena obbedienza al Vescovo di Roma. E proprio di Africa, periferie, (dis)obbedienza e Foggia si è parlato in questa intervista realizzata dalla redazione di Foglio di Via, di cui Foggia Città Aperta è orgogliosamente partner.
 
Il suo sorriso amichevole ci accoglie in un ufficio elegante, qua e là alcuni oggetti della sua amata Africa dove conta di tornare almeno una volta all’anno. Prima sfoglia incuriosito e coinvolto le pagine del giornale di strada, poi apprezza alcuni prodotti che la Bottega centonove/novantasei ha voluto regalare, ricevendo in cambio la promessa di un suo passaggio nel locale quanto prima. Ma a lui, oltre al centro, interessano soprattutto le periferie.
 
Lei è un pastore che fedelmente ha colto l’invito, la sollecitazione di Papa Francesco: “Vi chiedo di essere pastori con l’odore delle pecore”, pastore del popolo affidatogli. Quanto è importante per un vescovo scendere tra la gente e che l’unzione ricevuta giunga a tutti, anche alle periferie, non solo quelle cittadine ma soprattutto quelle dell’anima?
"Io ho continuato sostanzialmente quella che era già la mia vita, con la Comunità di Sant’Egidio ho sempre vissuto le periferie. L’incontro con la povertà è anche l’incontro salvifico e che da felicità perché 'c’è più gioia nel dare che nel ricevere'. Il tempo trascorso in Africa è stato uno dei più belli della mia vita, gli anni più felici, a contatto con una povertà grande, con un desiderio di maternità della Chiesa che un sacerdote può incarnare anche nella paternità di aiutare tante persone, questo è fonte di un Ministero felice. Arrivando a Foggia come vescovo non mi sono sentito un’autorità superiore o distante, cosa che tra l’altro avrebbe provocato tristezza e solitudine nella mia vita. Ho continuato a vivere la vita che ho sempre vissuto. Esco, vado a prendere un caffè, a incontrare le persone di Borgo Mezzanone, guido fino alla parrocchia, una vita normale quindi".
 
In sostanza, quotidianamente si impegna nel dare una presenza vicina sia moralmente che fisicamente.
"Non è un desiderio costruito quello di stare vicino alla gente ma la ricerca di normalità. Nel momento in cui ci distanziamo diventiamo persone che rischiano l’alienazione. Questo bisogno di relazioni è anche per un mio benessere psicologico, come dice anche Papa Francesco quando parla della sua necessità di vivere a Santa Marta. Se non si scende tra la gente come si fa a comprenderne le ansie, i bisogni, le angosce? Come si può comprendere quello che la Chiesa chiama i segni dei tempi, quello che succede nel mondo se nel mondo non ci vivi e vivi in una campana? Non è solo una scelta ma una necessità per il pastore e per il servizio pastorale.
 
Eccellenza anche se ora è vescovo di Foggia resta comunque un missionario. Ha lasciato una terra, un popolo che amava moltissimo con grande dolore.
"Sì! Con grande dolore ma con grande senso di obbedienza al Santo Padre e alla Chiesa. Per me l’obbedienza è una grande virtù quando è data a superiori in cui si confida. Ho sempre confidato nei miei superiori, nell’opportunità e nella saggezza di quello che mi veniva chiesto di fare. Mi è stato chiesto di andare in Africa, ci sono andato e ho trovato tanta felicità. Mi è stato chiesto di lasciarla e l’ho fatto con tanto dolore, una scelta molto sofferta. In compenso ho trovato a Foggia tanti fratelli e sorelle e tante cose da fare. Papa Francesco dice in Evangelii Gaudium “Io sono una missione. su questa terra”. Ciascuno di noi è chiamato a essere missionario".
 
E Lei, qui in provincia di Foggia, come riesce a concretizzare questa volontà?
"La mia esperienza mi porta a cercare le periferie, sono sempre stato nelle periferie. Andare a Borgo Mezzanone è per me una cosa naturale, lì ritrovo un pezzo di Africa, anche se di brutta Africa: non è una normale baraccopoli africana, qui evidente è l’assenza di donne e bambini. Qui troviamo solo braccia di uomini prestate, o sfruttate, all’agricoltura. Poi c’è tutto il tema giovani: c’è una bellissima università a Foggia con 13/14mila studenti, bisogna starci dentro, bisogna essere presenti, questa è la missione. Un’altra bella realtà che ho ritrovato è la missione che accompagna i tanti sacerdoti presenti, molti dei quali si spendono tantissimo per il prossimo. Io sono molto contento di loro, insieme al vescovo hanno la preoccupazione per questa città e per questa diocesi, una diocesi molto estesa e impegnativa che va dalla città alle campagne fino ai Monti Dauni".
 
Un mese fa le è stato consegnato il pallio, simbolo di unità e segno di comunione con la Sede Apostolica, ma anche vincolo di carità e responsabilità. In quell’occasione lei ha ricordato le parole del Vangelo “Il mio giogo è dolce e il mio carico leggero” (Mt 11,25-30) ma le chiedo: davvero il peso è così leggero?
"No! Ma non è soltanto cose da fare o impegni quotidiani, è la preoccupazione di tanta gente che ci è affidata. La vera preoccupazione è questa: sono tutti figli nostri. Questo è il vero giogo non le cose da fare ma un pensiero su tutti. I ragazzi morti a Potenza, gli incidenti stradali, gli immigrati esclusi, i figli e le donne dei mafiosi, tutti i carcerati in sovrannumero, gli ammalati, i giovani e il loro futuro, gli anziani: sono tutti figli miei. Questo è il vero carico che grazie a Dio non porto da solo.
 
Tornando all'aspetto più legato alla città: Lei è arrivato a Foggia con uno sguardo vergine e ora, nel tracciare il bilancio di un anno, cosa ha trovato di bellezze e lati negativi?

"Avete ragione, io sono venuto a Foggia veramente con gli occhi vergini perché non c’ero mai stato. Ho avuto la fortuna di viverla senza preconcetti e questo è molto importante. Arrivando in questa città i problemi non li ho ravvisati subito perché sono stato accolto molto bene. C’è tanta buona gente, si vede come il vescovo sia una persona amata e richiesta. Si percepisce il bisogno di questa figura di riferimento come esempio, come una guida. Molti incontrandomi per strada mi chiedevano di prendere in mano la città ma io non sono il prefetto, posso essere solo una guida spirituale. Il vescovo è azione, parola ma tutto in sfera umana. In seguito, piano piano, mi sono reso conto di quelli che sono i problemi: c’è una tossicità che va combattuta, una subcultura che è quella su cui si fonda la mafia, che non è prerogativa solo di Foggia sia ben chiaro, questa va combattuta, vanno protetti i giovani, da qui il bullismo e il disprezzo delle regole. Un’altra piaga è quella del caporalato, uno sfruttamento di memoria storica nelle campagne della Capitanata, prima con i vostri nonni italiani e soltanto adesso è con gli immigrati, una cultura antica che va anch’essa sradicata. Ci sono molte cose che ho trovato, sono stato aiutato a comprendere, altre le ho comprese con la mia testa, che vanno cambiate. Inoltre ci sono altre bellezze di questa terra: la gente. È sempre la cosa più bella, l’umanità delle persone, i giovani che sono la ricchezza più grande. In Puglia c’è anche il discorso delle fonti green dell’energia, l’aria pulita così come l’agricoltura..."
 
Facendo riferimento a quanto detto prima sull’obbedienza, in cosa si può o si deve disobbedire?
Intanto la mia obbedienza al Papa non è in discussione. Primo: credo nell’unità che viene dalla persona del Papa e poi perché ho sempre stimato tutti i predecessori di Francesco, quelli che ho conosciuto. Se qualcuno mi dicesse di prendere un fucile e sparare io non obbedirei. Il cristiano è libero di morire per gli altri ma non causarne la morte. La disobbedienza ha qualcosa che moralmente io non voglio fare, ma è evidente che nella Chiesa questa cosa non viene richiesta. Sia l’obbedienza che la disobbedienza hanno delle conseguenze".
 
Tutto quello di cui abbiamo parlato è riferito alle Politiche sociali: a Foggia, in questo ambito, cosa manca e cosa si potrebbe fare di più?
"C’è tanto da fare, intanto forse mancano i soldi, come al solito in Italia, per poter pensare a delle politiche vere. L’housing senza soldi non lo fai, io vedo che questa amministrazione si sta dando da fare ma fa quello che può. Si avvicina l’inverno e cerchiamo di prepararci affinché non muoia nessun altro senzatetto come è successo l’anno scorso. Sono temi su cui riflettere seriamente: dove si mettono, d’inverno, le persone che vivono in strada per sopravvivere? Dobbiamo trovare una soluzione come società e come chiesa lo stiamo facendo con la Caritas ma non può sostituire le istituzioni. Molti sono i volontari che fanno la loro parte come cittadini ma in comunione con l’amministrazione".

di Redazione 


 COMMENTI
  •  reload