Per i viestani era il “Fantasma del cimitero”, per i carabinieri della locale tenenza, invece, un “furbetto”, un “assenteista seriale” dal posto di lavoro. Con la sua assenza sistematica, infatti, aveva creato notevoli disservizi all’attività cimiteriale, con lunghe attese di utenti, anche in casi di tumulazione di salme, rendendo la circostanza da tragica a grottesca. Si tratta di Emanuele Finaldi, 33enne del posto, già noto alle forze di polizia, arrestato dai militari in esecuzione dell’ordinanza di custodia cautelare agli arresti domiciliari emessa dal gip del Tribunale di Foggia perché ritenuto responsabile di truffa e falsità ideologica aggravata e continuata.
IL FATTO. Dalle indagini poste in essere dai carabinieri della tenenza di Vieste è emerso che l’uomo, assunto come custode del cimitero cittadino nel 2006, non si presentava al lavoro da anni. Dopo numerosi servizi di osservazione e pedinamento i carabinieri sono riusciti a dimostrare e documentare che il 33enne si assentava costantemente dal lavoro, con la complicità di familiari ed amici che lo sostituivano di tanto in tanto. Grazie ad una complessa attività di controllo e documentazione delle assenze, incrociata con i controlli del territorio, i militari hanno potuto accertare che il custode, in più occasioni era stato controllato in posti diversi rispetto a quello di lavoro, anche se contestualmente risultava in servizio, poiché il cartellino personale per la rilevazione meccanica degli ingressi e delle uscite dal luogo di lavoro, risultava regolarmente timbrato.
LA MAXI-TRUFFA. I carabinieri, durante alcuni dei servizi di osservazione, hanno identificato i parenti che si occupavano delle mansioni di apertura e chiusura dei cancelli, nonché della timbratura del cartellino attestante la presenza del custode. L’Arma di Vieste, raccolti i numerosi elementi investigativi e probanti la maxi-truffa in concorso posta in essere ai danni dello Stato, hanno deferito alla Procura della Repubblica di Foggia quattro persone, compreso il “Fantasma del Cimitero”, per i reati di truffa ai danni dello stato e falsità ideologica aggravati e continuati, richiedendo per quest’ultimo la misura cautelare degli arresti domiciliari. I proventi indebitamente percepiti con l’immeritata retribuzione possono essere calcolati nell’ordine approssimativo di 60 e 70 mila euro.