Ferlizze e il rumore delle bombe

Libridintorno di Giuseppina Dota

LA MALINCONIA DOMENICALE. Tranquilli, lettori, che il problema è nella domenica, e non nel luogo in cui si vive. Ho fondati sospetti che l’inafferrabile eppure presente malinconia domenicale sia dovuta al fatto che ci fanno mandare a memoria “Il sabato del villaggio” quando abbiamo sì e no nove anni, per cui sappiamo fin da piccolissimi che “(domenica) tristezza e noia recheran l’ore ed al travaglio usato ciascuno in suo pensier farà ritorno”.
Però io sto per portarvi in una domenica sera splendida, quella in cui l’auditorium dell’Amgas ha ospitato il concerto “Ferlìzze”, dall’omonimo disco di Gianni Pellegrini, giovane e talentuosissimo cantautore locale.
IL CONCERTO “FERLIZZE”. Tutto esaurito per godersi uno spettacolo davvero bello, fatto da musicisti dotati di talento e professionalità, che hanno portato sul palco la canzone popolare; “il dialetto esprime la natura di un popolo così come la musica (…) ed è il primo passo verso la libertà”, questo il saluto che Beppe Barra ha fatto pervenire alla band proprio in occasione di questo concerto. Le canzoni, fotografie in dialetto dell’umanità e del suo territorio, sia di ieri che di oggi, hanno avuto arrangiamenti densi di ritmo, orchestrati con maestria, e il risultato è stato un concerto ricco, curato, e molto partecipato. Gianni Pellegrini ha fatto una breve introduzione ai diversi brani, per ognuno dei quali ha scelto un libro da legare all’esperienza che quella canzone voleva fissare, alternando autori locali –Luca Cicolella, Amelia Rabbaglietti- a indimenticati maestri quali Carlo Levi e Giuseppe Ungaretti. Due in particolare le canzoni che la platea ha accolto con emozione più intensa, “Terra appandanate” che è la carta di identità della foggianità, con l’amore tormentato per una terra amara e difficile, e il filiale desiderio di essere sempre avvolti dallo sguardo amorevole della Madonna nera, e “Cento giornate foggiane”, la dolorosa cronaca dei bombardamenti dell’estate del ’43, l’ecatombe che ha avuto per scenario Foggia rasa al suolo, migliaia e migliaia di vittime civili. Per cui, il consiglio del blog letterario a questo giro è di non farvi sfuggire questo disco, Ferlìzze, molto buono anche come supporto, registrato in uno studio romano che ha assicurato un lavoro perfetto, dall’acustica ottima, con un libretto interno completo di testi, foto, note.
Cristina D’Onofrio, Cesare Rizzi, Alfredo Ricciardi, Cristiano Nimo, Chiarastella Fatigato –moglie e musa ispiratrice di molte delle canzoni di Pellegrini- , Sergio Picucci, i bravissimi musicisti che hanno accompagnato Gianni Pellegrini sul palco; un contributo eccellente, e una esemplificazione dell’impegno che traspare dalle parole del cantautore, animatore con altri cittadini di buona volontà, tra i quali alcuni degli stessi musicisti, del GADD, Gruppo Amici Della Domenica, persone che senza alcun fine di propaganda partitica si impegnano al recupero di spazi pubblici, sia fisici che metaforici, e buone pratiche per una migliore evoluzione della martoriata società civile cittadina.
FOGGIA CHE DEVE CAMBIARE. Mi sembra importante ricordare questo, tra i motivi ispiratori dell’intera opera di Gianni Pellegrini e dei suoi collaboratori, perché proprio ieri in contemporanea al concerto abbiamo avuto diversi esempi di comportamenti che si allontanano dallo scopo che il talento di questi artisti tiene sempre ben presente. Mi riferisco al fastidio provocato dagli squilli di cellulare, certo, o anche dalla sfacciataggine di almeno due persone che si sono intrattenute in conversazioni al telefonino in piena esecuzione dei pezzi, resto desolata davanti all’inciviltà del mio raffreddatissimo vicino di sedia che la lasciato sul pavimento sotto la sua sedia tutti i fazzoletti che aveva usato per soffiarsi il naso durante il concerto, ed è sgusciato via dal suo posto prima che si riaccendessero le luci, immagino per sottrarsi all’ovvia rampogna che più di qualcuno gli avrebbe fatto. Inezie comunque, queste, davanti alla notizia che nei minuti in cui cominciava il concerto, qualche quartiere più in là esplodeva un’autobomba, davanti alle serrande degli uffici di un costruttore.  Qui in tutta sincerità fatico a trovare le parole adatte per descrivere quanto mi viene da dire. Il contrasto tra l’impegno, il coraggio, la fiducia di chi investe in questo territorio il suo tempo, i suoi talenti, il futuro dei suoi figli, e dall’altro lato la strafottenza, la mancanza di memoria e di prospettive di chi opera nella delinquenza, è talmente stridente che fa rumore, pure quello, forse pure più di una bomba, negli animi di chi continua a sentire l’eco anche dopo l’esplosione. Io auguro, a quelli che credono che quella del crimine sia una strada che paghi, di incontrare qualcuno che gli insegni, con l’esempio e non con le parole il valore dell’identità, della memoria, dell’impegno. E di incontrare anche una magistratura libera, e un legislatore incorrotto. Foggia sta registrando negli ultimi venti anni uno spaventoso esodo di talenti e persone per bene, gente che avrebbe potuto fare la differenza qui, se ce ne fossero state le condizioni, e se l’esodo non si ferma, il senso di morte dell’estate del ’43 sarà anche quello una presenza inafferrabile, ma innegabile.

N.B. per i non foggiani, ‘ferlìzze’, sgabelli di fortuna. “I segg’ annanz, e i ferlìzze arret’”, e cioè “le sedie davanti, e gli sgabelli dietro”, il modo con cui la foggianità esprime la rassegnata consapevolezza che esistono le prime file, e quelli che vengono dopo.

(la foto è di Michele Sepalone)


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