Simone Cristicchi racconta il Magazzino 18

Libridintorno di Giuseppina Dota

L’ESODO GIULIANO-DALMATA. Magazzino 18 è il nome di un deposito nel Porto Vecchio di Trieste, nel quale a seguito del trattato di pace del 1947 con cui i territori di Istria, Dalmazia e di una larghissima fascia costiera cessarono di essere italiani e vennero ceduti alla Jugoslavia di Tito, i profughi che vivevano  in quella costa, da sempre terra di frontiera e di mescolanze, e che d’improvviso non erano più italiani ma stranieri in casa loro, accatastarono oggetti personali e masserizie che non poterono trasportare in quelle prime concitate fasi dell’esodo che li spinse in Italia, a Trieste specialmente, perché speravano di trovarvi posto, come non era più nelle terre da cui fuggivano. Il deposito degli oggetti era, nelle intenzioni, transitorio, perché erano beni che i profughi speravano probabilmente di recuperare una volta che la vita si fosse instradata su un percorso sereno, sia pure non felice, perché un esule forzato raramente è un individuo felice. Eppure, oggi, a.d. 2014, dopo quasi settant’anni  molti di quei beni sono ancora lì, alcuni con la scritta RINUNCIATO sopra, altri semplicemente mai più reclamati indietro. Abbandonati, emblemi di una condizione che i profughi hanno provato. L’esodo giuliano-dalmata è una pagina dei libri di Storia talmente recente, meno di  settanta anni, che tanto spesso neppure si studia nei programmi scolastici curricolari, prevista sì, ma troppo in fondo al libro per arrivarci prima degli esami.
LO SPETTACOLO. La sofferenza insita in una migrazione così dolorosa ha colpito la sensibilità di un artista italiano tra i più attenti e generosi, Simone Cristicchi, che già in passato ha lavorato per dare voce alle condizioni di maggiore fragilità delle più varie esperienze umane, e ne è nato uno spettacolo chiamato proprio Magazzino 18, che non porta una etichetta di genere, non è una commedia, non è un monologo, non è un musical: introdotto dall’artificio di palco dell’escamotage di un impiegato dei giorni nostri non troppo ferrato in storia che deve inventariare il contenuto di un deposito e non si rende conto dell’orrore che ha sotto gli occhi, non lo comprende dapprima  perché lo ignora, e giunge infine all’acquisizione di consapevolezza, crescendo in partecipazione, questo atto unico si snoda lungo segmenti che alternano canzoni e musiche inedite di Cristicchi a toccanti interventi di filmati che hanno almeno sessant’anni, a potenti, evocativi intermezzi di una grandiosa orchestra e di un variegato corpo di ballo, a brani di Storia raccontati semplicemente dall’artista, con una narrazione che ha per protagonisti gli Uomini, che fanno o subiscono la storia, e che dà voce anche agli oggetti, che raccontano le storie di chi ha dovuto lasciarli, attrezzi da lavoro, scansie di interi negozi od officine, mobili per camere di bambini… la struggente poesia con cui il quotidiano di centinaia di migliaia di persone viene revocato, la drammatica descrizione dei Caduti nelle foibe, delle sevizie ai danni di donne e bambini, i campi profughi, le stragi di cui nemmeno i giornali hanno mai dato conto, figuriamoci i libri, e l’ostilità, da questo lato della frontiera, di una nazione che questi italiani in arrivo non li voleva, ha cercato di ignorarli, tutto questo si combina con maestria e grandissimo lavoro in due ore di un evento che lascia commossi, che apre il cuore prima ancora che la mente quanto ai danni irreversibili delle guerre che sconvolgono la geografia e l’anima del mondo. Vi lascio immaginare la potenza che tutto questo ha potuto generare in Trieste, che decenni fa ha vissuto in pieno l’ondata dell’arrivo dei profughi, e che oggi ancora è la sede del Magazzino 18. Spettacolo tutto esaurito, una replica non prevista ma aggiunta per le tantissime richieste, circa settemila presenze in cinque rappresentazioni, una standing ovation che sembrava non finire mai, l’emozione che ha percorso tutto il pubblico quando proprio sulle note finali il velario che riparava il fondo del palco si è aperto e ha rivelato una orchestra nutrita, invisibile fino a quel momento.
IL TOUR. Questo fortunatissimo spettacolo di Simone Cristicchi è in giro da un po’, e continua a muoversi, fortemente richiesto. Un pizzico di campanilistico orgoglio nel notare che questa splendida produzione è opera anche del talento di un foggiano, Marcello Corvino, e della sua PromoMusic che già tanti altri artisti ci ha reso più vicini. Tra le date previste per la Puglia, al momento la più prossima a noi foggiani è per il 10 gennaio 2015 a Torremaggiore, e mi sento di dirvi che non va perso, perché assistervi porta a una serie di spunti di riflessione, su come l’ideologia faccia danni quando la si fa prevaricare sulle persone, deriva che rischiamo tanto più oggi, in un mondo che, a causa di confini geopolitici assai dinamici e spietati nella loro mutevolezza, e grazie a mezzi di trasporto potenziati, presenta milioni di profughi in cerca di riparo, sempre, in ogni continente. Come ha detto il cantautore foggiano Gianni Pellegrini, questa rappresentazione sull’esodo giuliano-dalmata è una rappresentazione sui barconi che approdano a Lampedusa, sulla nostra cecità, sulla errata instillazione dei concetti di possesso ed esclusione su quello di identità. Per chi non voglia aspettare gennaio, esiste il libro, Magazzino 18, di Simone Cristicchi e Bernas Jan che ha la sua mano anche nella scrittura dello spettacolo, edito da Mondadori, poetico e struggente allo stesso tempo, pagine in cui gli oggetti parlano, rivelano verità che tante volte gli uomini vorrebbero tacere.
Perché l’undicesimo comandamento, Canta Simone Cristicchi, è NON DIMENTICARE.


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