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  • Pubblicata il: 10/09/2021 12:34:13

Bruno Longo si difende dal suo ‘guaio giudiziario’ citando Craxi: “Non c’è nessuno in quest’aula…”

Torna a parlare chi sosteneva 'l'olio per ungere gli ingranaggi del potere'

“L’Italia è un Paese dove non si fanno mai i conti con la propria storia, dove i passaggi storici non lasciano mai un segno, dove i processi, sia politici che giudiziari, non finiscono, non si chiudono, lasciando vuoti che non si riempiono. Non dimentico il mio unico e recente guaio giudiziario. Ma come disse un grande politico “non c’è nessuno in quest’aula che possa alzarsi e pronunciare un giuramento in senso contrario (il sottolineato è dell’autore ndr)”.

LA REPLICA. Bruno Longo rompe il silenzio e replica a quelle che definisce “infamanti insinuazioni” riguardanti la sua persona. Contesta il contenuto della relazione prefettizia sulle infiltrazioni mafiose al Comune di Foggia che, a suo dire, riporta “fatti e circostanze del tutto avulse dalla realtà” ma riconosce, per la prima volta pubblicamente, il suo “unico e recente guaio giudiziario”. Il riferimento è all’inchiesta ‘Nuvola d’Oro’ che, secondo la ricostruzione degli inquirenti, concerne una tangente pagata dall’imprenditore Massimo Palange per ottenere la liquidazione di una fattura. Secondo la versione dell’ex consigliere comunale riguarda, invece, “un contributo elettorale, puntualmente denunciato alla Corte di Appello di Bari in sede di rendiconto delle spese, con una sanzione non solo giudiziaria ma anche e soprattutto morale”.

I DEFERIMENTI. Ma andiamo con ordine. Bruno Longo contesta il fatto di essere stato deferito nel 1976 per porto abusivo d'armi (circostanza peraltro neanche riportata da Foggia Città Aperta): “Quegli anni hanno segnato la mia militanza politica nel Movimento Sociale Italiano e se vi sono stati deferimenti per aver partecipato a manifestazioni politiche nei così detti Anni di Piombo, a fianco della Giustizia e contro qualsiasi forma di sedizione sovversiva, rivendico il deferimento”. Quanto al concorso esterno in associazione a delinquere di stampo mafioso, precisa che il procedimento “Vela 2” che lo ha visto coinvolto, condotto dal Pm Gianrico Carofiglio, “naufragò miseramente dopo un pronunciamento della Suprema Corte di Cassazione che ne decretò la irrilevanza e l’assenza di qualsiasi grave indizio di colpevolezza. Pertanto – aggiunge Longo - sostengo con forza di essere totalmente estraneo a quell’indagine per la quale nessuno ha pagato per l’onta buttata addosso alla gente perbene. Anzi non so per quali reconditi motivi qualcuno – prosegue riferendosi a Carofiglio - beneficiò di un posto in Parlamento e di una casa editrice di sinistra dove far sfogare i suoi sogni da scrittore”.

LA CASA POPOLARE. Singolare è la difesa d'ufficio in riferimento al fatto che, nella casa popolare di corso Roma, in cui Bruno Longo risulta residente, dimora effettivamente un esponente di primo piano della mafia foggiana. “Ho prontamente denunciato l’accaduto alla Polizia Locale e tramite l’allora comandante dei Vigili Urbani, si tentò uno sgombero che, purtroppo, non fu mai eseguito” scrive il militante della destra storica foggiana. Aggiunge, poi, che quella casa popolare gli apparterrebbe “per aver vissuto per anni (almeno dal 1986) con la defunta madre, inferma e bisognosa di cure nonché legittima assegnataria dell’alloggio popolare”. Una ricostruzione, a questo punto, un po' forzata. Non è chiaro il diritto di proprietà rivendicato nei confronti di una casa popolare che apparteneva in realtà alla madre. È vero che, al decesso dell'assegnatario, l'abitazione possa essere assegnata agli eredi ma solo dopo una verifica del Comune sull'esistenza di condizioni ostative alla permanenza nell'alloggio. Bruno Longo, che attualmente peraltro dimora in una villa in zona Città del Cinema, ha materialmente ottenuto l'assegnazione?.

SULLE INTERDITTIVE CHE HANNO ROTTO IL. Controversa è anche la replica sulla frase, da lui pronunciata e captata in una delle intercettazioni dell'inchiesta che lo coinvolge: “Queste interdittive hanno rotto un poco il cazzo”. Per il Prefetto è “una manifestazione espressa del forte disappunto per l'attività di prevenzione antimafia”. Per Bruno Longo, invece, è “una frase estrapolata da una captazione ambientale, decontestualizzata e ampiamente enfatizzata”. Solo che il significato proprio che l'ex Fratelli d'Italia rivendica è “una denuncia nei confronti della amministrazione retta dall’ex Sindaco Gianni Mongelli, quanto all’assegnazione di appalti per la riscossione delle entrate tributarie del Comune di Foggia e per i servizi cimiteriali che determinarono la sovraesposizione mediatica che portò alle interdittive antimafia, prodromo degli eventi che si sono verificati e che oggi comportano una desertificazione della politica nella scelta della giusta amministrazione della Cosa Pubblica”. Se non abbiamo compreso male, insomma, il succo è che occorreva maggiore prudenza nell'assegnazione degli appalti per evitare che i media ne parlassero, che il Prefetto prestasse attenzione e, in pratica, per consentire alla politica di andare avanti a fari spenti.

VIVA LA PRIMA REPUBBLICA. Così facevano nella prima Repubblica. E che Bruno Longo abbia nostalgia di quei tempi è dimostrato dal fatto che per la conclusione della sua autodifesa, chiama in causa il compianto Craxi, condannato per corruzione e finanziamento illecito dei partiti e morto latitante all’estero. “Pagherò per aver percepito un contributo elettorale con una sanzione non solo giudiziaria ma anche e soprattutto morale” è il grido accorato di Bruno Longo. Che poi prende in prestito le parole citate dal politico Psi: “Ma non c’è nessuno in quest’aula che possa alzarsi e pronunciare un giuramento in senso contrario”. Parole pronunciate durante il famigerato discorso in Parlamento nel 1992, in piena tempesta Tangentopoli. Un’ammissione di colpa al grido del ‘così fan tutti’ che non ebbe gran successo se è vero che un anno dopo, all’uscita dell’hotel Raphael, Craxi fu preso a monetine da una folla inferocita.

L'OLIO DA UNGERE. Il concetto di politica di Bruno Longo, del resto, è chiaro da anni. Foggia Città Aperta lo ricordò al decano della politica foggiana già nel 2014 quando seminò per la città manifesti di ringraziamento alla magistratura per aver fatto operazione di pulizia in occasione degli arresti di Biagini e Laccetti (magistratura di cui evidentemente ha ora cambiato opinione). Che la predica arrivasse da lui ci sembrò stonato. Un anno prima con un post su Facebook aveva difeso a spada tratta Berlusconi: “Corrotto ma meglio di tanti farabutti” aveva detto di lui e, in risposta ai commenti degli utenti, aveva rincarato la dose: “Tutti i grandi imprenditori per diventare grandi devono ungere quei meccanismi del sistema che altrimenti non funzionerebbero. Non ha inventato Berlusconi il sistema di corruzione e di mazzette in Italia. Meglio lui che ha creato occupazione rispetto a tanti farabutti”. Ora come allora, ci piace pensarla in maniera diametralmente opposta, come inguaribili sognatori. Che Foggia un giorno possa avere rappresentanti politici capaci, senza distinzioni, di indignarsi al solo pensiero che i diritti di cittadini e imprese abbiano bisogno di "olio" per essere ottenuti”.

di Michele Gramazio