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  • Pubblicata il: 03/01/2021 14:58:23

Foggia e i tifosi della malavita: la maledizione degli “infami” e “cornuti”

Chi sono queste persone? Perché fanno così male alla città?

Da queste parti si chiamano così: “i tifosi della malavita”. Gergo popolare, sintassi vernacolare. Sarebbero i sostenitori, i sedicenti fan della criminalità organizzata: i loro follower, per così dire, tanto sui social quanto nella realtà.

INFAMI E NON INFAMI. Si muovono come loro, vestono come loro, parlano come loro. Dividono il mondo in “infami” e “non infami”, “cornuti” e “buoni”: da un lato quelli che parlano, che denunciano, che arrestano e fanno arrestare; dall’altro quelli che tacciono, che si voltano dall’altra parte perché così va il mondo, così deve andare. Con la musica neomelodica a palla – che non ha nulla della nobile canzone partenopea che poco spartiva con lo slang carcerario –, vivono in uno stadio di esaltazione costante dettato nient’altro che da un atteggiamento, una maschera “da malavitosi” che è la loro unica forma di esistenza nel mondo: sono una pantomima, una finzione che ha nei personaggi di Gomorra il proprio idiota riflesso filmico. Visti così sembrano innocui, una sorta di scugnizzi mai cresciuti – e spesso, purtroppo, ai loro figli e nipoti insegnano lo stesso “stile”. Ma non è così: essi sono una cultura ormai, un sostrato sempre più radicato nella città di Foggia. E, soprattutto, sono pericolosi.

TIFOSO, E MALAVITOSO. Già, maggiormente quando sparano. Quando l’atteggiamento supera il limite, diventa atto (si tratti o meno di una pistola a salve): allusione criminale in un territorio di mafia, quella che di recente il procuratore nazionale antimafia De Raho ha definito “il primo nemico dello Stato italiano”. Gente come quel tizio che ogni 31 dicembre augura prosperità “alla malavita foggiana”, tale Giuseppe Perdonò: un pregiudicato, come poi è emerso dalle indagini che l’hanno identificato. Non solo un “tifoso” ma, come spesso accade, anche un membro stesso della criminalità: la cultura che combacia con la vita, dunque, la mente che arma il corpo. Uno scherzo, forse, il suo. Stupido, probabilmente pericoloso – a nostro avviso schifoso. Ma una pagliacciata che, pur nella sua puerilità, girando velocissima nei telefoni ha prestato il fianco a quelle generalizzazioni che, nel web, da onta diventano ben presto maledizione di una città. Persino di un popolo.

IL PRESIDENTE “GOMORRIANO”. E qui arriviamo al punto. Perché se a fare il tifoso della malavita è un malavitoso la cosa può anche sembrare – non essere, sembrare – tollerabile. Da questa parte della barricata restano e resistono gli infami e cornuti (con orgoglio, sia chiaro), ossia quella gente perbene che può sempre recriminare “quella non è la mia città, quelli non siamo noi”. Ma se a sparare, ad atteggiarsi, a indossare la maschera del “gomorriano” è nientemeno che il Presidente del Consiglio Comunale di Palazzo di Città, eletto dai cittadini ed espressione della maggioranza in carica, allora la questione è diversa. È gravissima, indegna, a tratti raccapricciante e non solo per l’immagine che dà – come ha detto il sindaco Franco Landella parlando delle dimissioni del suo alleato politico – ma soprattutto per quello che è: una questione di sostanza, non solo di apparenza.

FUORI DAL CONSIGLIO COMUNALE. Le immagini di Capodanno di Iaccarino e figlio sono uno schiaffo a 160mila abitanti soprattutto se, quale unica difesa, il politico e vigile del fuoco – altra aggravante – fa appello a uno spirito goliardico che di goliardico non ha proprio nulla. Quella è cultura, purtroppo. Cultura mafiosa che come un cancro – una piovra – si allargherà e abbraccerà tutti, diffondendo un’immagine di Foggia sempre più compromessa. E a poco serviranno le sue dimissioni dal ruolo di Presidente: Iaccarino deve uscire dalla Sala Consiliare del Comune, dal luogo di rappresentanza di tutti i foggiani, dalla casa del popolo. Lo faccia come ultimo atto di decenza: servirà a salvare la faccia di un’amministrazione che, dopo “l’affaire Pacca”, è sempre meno degna di rappresentare noi infami e cornuti.

di Alessandro Galano