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Al Comune c’era la mafia, Landellopoli era un “sistema”: è tutto nero su bianco, nella relazione della Commissione

Ben 135 pagine che ne hanno deciso lo scioglimento

“Dalle indagini confluite nell’ordinanza in questione e nella precedente ordinanza cautelare del Sindaco emerge come gli indagati abbiano dato vita a quello che il GIP definisce ‘un sistema’ di asservimento ai propri interessi personalistici dei soggetti politici (od anche solo investiti di compiti amministrativi, come nel caso della Di Donna)”.

IL SISTEMA. Centotrentacinque pagine. Centotrentacinque pagine che mettono a nudo le relazioni esistenti tra l’ormai annullata Amministrazione uscente, a guida Franco Landella, e la criminalità organizzata. Centotrentacinque pagine per raccontare un territorio – mafioso – a partire da dieci anni prima, quando si andavano configurando i sodalizi tra politici, faccendieri, imprenditori e, appunto, “batterie criminali” – come sono indicate nel documento. È la relazione della Commissione d’indagine ministeriale che ha sciolto il Comune di Foggia per infiltrazioni mafiose: la pietra tombale su una “cricca” di amministratori che, nelle parole del Gip, faceva parte di un vero e proprio “sistema”.

LANDELLOPOLI ESISTE. Dunque, non solo una “cattiva governance” – come pure si dice nella relazione. Non solo l’emersione “di una devastante solitudine civica” che, di fatto, ha originato i monitoraggi di inquirenti e antimafia nazionale. Non solo episodi estemporanei di “mazzette”, di cui s’è detto in lungo e in largo. Ma un vero e proprio sistema organizzativo: Landellopoli, dunque, come la chiamammo in tempi sospetti ma non ancora acclarati, esiste. È esistita davvero, come accerta la definitiva relazione che ne ha annichilito le propaggini. Landellopoli ha avuto luogo in tutto e per tutto come un’organizzazione di eletti – in tutti i sensi – che, anziché provvedere al bene comune, accrescevano i loro interessi privati in modo illegale.

CONSIGLIERE PER CONSIGLIERE. La relazione depositata dopo oltre sei mesi di indagini degli inquirenti – e che faceva stare “più tranquillo” l’ex sindaco Franco Landella, come ebbe a dichiarare pubblicamente commentando l’insediamento della commissione – va nello specifico, scandagliando comportamenti e connessioni di ogni singolo esponente del Comune di Foggia il quale, carte alla mano, sarebbe o sarebbe stato coinvolto in atti criminosi. Si passano al setaccio intercettazioni ambientali e telefoniche tra questo o quel consigliere con questo o quel personaggio della criminalità locale o legato a essa più o meno direttamente. Si citano momenti cruciali dell’attività amministrativa in cui sono avvenute pressioni da parte della malavita la quale, come avanzato su Foggia Città Aperta, avrebbe preteso il proprio tornaconto dopo aver sostenuto, in ambito elettorale, la “propria” coalizione: quella di centro-destra a guida Landella.

I VOTI COMPRATI. Ed è proprio in quest’ultimo ambito che emergono elementi di prova nuovi, tali da sottolineare quanto il voto di scambio e l’acquisto di pacchetti di voti siano tra le strategie più frequentate – e potenti e vincenti e sistematiche – da certi politici, in sinergia con ambienti criminali. Anche qui, relazione alla mano, ricorre la parola di cui sopra a proposito di “un sistema illecito davvero organizzato con meticolosità che si è potuto pregiare di un passaparola vincente e capillare e che ha coinvolto un numero importante di personaggi, ovviamente garantito da un rilevante investimento economico da parte di qualcuno e/o di coloro che avevano interesse alla vittoria elettorale di un determinato candidato”.

CORRUZIONE E MAFIA. A pagina 56 si legge che “la corruzione è lo strumento utilizzato dalla mafia per indirizzare i bandi pubblici”. E, anche se non si è nemmeno a metà dell’incartamento, è già possibile chiudere un cerchio ormai netto, emerso anche a prescindere dagli esiti processuali delle singole personalità coinvolte. A Foggia, al Comune, c’era Landellopoli. Non un’amministrazione comunale macchiata da qualche “mela marcia” – si disse così nel momento dell’arresto di Bruno Longo – ma un sistema, un’organizzazione, un’associazione che poneva su uno stesso piano di interessi economici amministratori eletti ed esponenti della mafia locale. In mezzo, a fare da collante, da apripista e da regolatore dei suddetti rapporti, c’erano i soldi: la corruzione. Quella che ha permesso appalti ad aziende vicine ai clan, quella che ha prorogato o sbloccato assegnazioni dirette a questa o quella ditta, quella che ha pagato 40 euro a voto in occasione delle tornate elettorali – pagina 54 e 55 della relazione. Chest’è, come dicono a Napoli. Il resto è storia, ma è soprattutto una città crollata su se stessa, ghiacciata nel punto più basso di sempre: il IX cerchio, quello dei traditori.

di Alessandro Galano


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