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Comune di Foggia, la mafia “entrava” persino nei bagni comunali: ed è solo la sintesi della relazione del Ministro

Dal 2014, due governi a guida Landella: infiltrazioni a Palazzo di Città

È diretta al Sottosegretario di Stato della Presidenza del Consiglio dei Ministri della Repubblica Italiana, Roberto Garofoli, e non è l’intera relazione del Prefetto che ha evidenziato la necessità di sciogliere il Comune di Foggia per infiltrazioni mafiose. Ma, “soltanto”, la lettera di accompagnamento del ministro Lamorgese in cui di fatto si dispone l’affidamento, per la durata di 18 mesi, dell’amministrazione di Palazzo di Città al prefetto a riposo Marilisa Magno, al viceprefetto Rachele Grandolfo e al dirigente di II fascia Sebastiano Giangrande.

È SOLO LA SINTESI DELLA RELAZIONE. Sei pagine di sintesi di una relazione che invece, a dispetto di quanto trapelato di recente, accoglie circa duecento ulteriori pagine – la “vera” relazione, in pratica, allegata alla missiva – in cui si va nello specifico dei legami esistenti tra mafiosi e politici nel capoluogo dauno, a partire dal 2014. Cioè, dall’insediamento della prima amministrazione a guida Franco Landella, la cui gestione della cosa pubblica, stando alla suddetta commissione, sarebbe stata caratterizzata da ben sette anni di infiltrazioni mafiose (con 15 amministratori confermati tra l’una e l’altra consiliatura). A confermarlo, i primi righi delle sei pagine in questione, in cui si motiva senza troppi giri la decisione dello scioglimento a seguito di “concreti, univoci e rilevanti elementi su collegamenti diretti e indiretti degli amministratori locali con la criminalità organizzata di tipo mafioso e su forme di condizionamento degli stessi”.

PARENTELE MAFIOSE. Andando più nello specifico, alla luce dei riscontri eseguiti in questi mesi di disamina, la missiva inviata al Sottosegretario ritiene “acclarata” nella provincia di Foggia la presenza “di numerose e articolate organizzazioni malavitose di stampo mafioso, finalizzate ad assumere il controllo del territorio e capaci di infiltrarsi nelle attività economiche della pubblica amministrazione”. Come? Attraverso frequentazioni e legami di parentela tra amministratori del Comune e malavitosi, anzitutto. Il documento, seppure in sintesi, riferisce ad esempio di “legami affettivi” tra un consigliere e “un esponente della locale organizzazione criminale, pregiudicato, il quale è stato costantemente tenuto informato di questioni politico-amministrative che interessano l’ente locale potendole in tal modo influenzare negativamente nel corso del loro iter decisionale”. È il caso che ha riguardato la consigliera Iadarola, se è vero che la relazione in questione fa riferimento al noto “progetto del sistema di video sorveglianza cittadino” all’epoca all’esame del Consiglio e, prima ancora, “al vaglio” della criminalità organizzata.

IL CONSIGLIERE CHE ABITAVA A CASA DEL MAFIOSO. Sempre restando in tema consiglieri poi, il documento parla anche di un altro fedelissimo di Landella (visto che era già presente nella precedente consiliatura), che frequentava abitualmente un mafioso foggiano il quale, a seguito di minacce attestate da fonti di prova tecniche, “ha ricevuto direttamente dalle mani del predetto amministratore un contributo economico di natura sociale erogato dal comune di Foggia”. C’è poi il caso del consigliere comunale che all’anagrafe risiedeva in una casa che, di fatto, era abitata da un esponente della “locale consorteria criminale”: a quanto si legge nella missiva, il detto consigliere avrebbe trascorso tra quelle mura il periodo degli arresti domiciliari.

I DIPENDENTI COMUNALI. Ma non sono esenti neanche due dipendenti comunali: uno di questi, su disposizione del gip del tribunale di Bari, è stato raggiunto da un’ordinanza cautelare per aver fornito ai criminali di Foggia “informazioni utili per le attività estorsive nel settore dei servizi funebri”. L’altra, invece, è cosa nota ed è la moglie dell’ex sindaco Landella, Daniela Di Donna: colei che, in consorteria con il Primo Cittadino, distribuiva le tangenti versate da un imprenditore – quattromila euro ciascuno e il famoso “tutt’appost” quale sigillo di affare fatto, come da intercettazioni.

AFFIDAMENTI PRIVI DI CERTIFICAZIONE ANTIMAFIA. Un’ampia parte della relazione, poi, fa riferimento agli affidamenti dei servizi pubblici: il “grosso” o, per meglio dire, il nido di vespe che metteva in relazione politici, mafia e imprenditoria. Affidamenti quasi decennali concessi ad imprese prive di certificazione antimafia e che, in un caso specifico, avrebbero continuato a lavorare per il Comune anche dopo aver ricevuto l’interdittiva antimafia: mesi di illegittimità comprovata, dunque, così com’è comprovata la “forzatura” dell’aggiudicazione di certi appalti, definita in termini di “inammissibile commistione tra poteri di indirizzo politico-amministrativo e poteri gestori”. Quando poi era troppo evidente la violazione – il riferimento è ai ripetuti affidamenti diretti a beneficio di un’azienda che dal 2015 al 2020 ha gestito il sistema di videosorveglianza – il Comune produceva “una semplice comunicazione antimafia” e non, come avrebbe dovuto fare su richiamo del Prefetto, “l’informazione antimafia”, ossia la certificazione accurata e completa che per legge bisogna produrre in simili casi.

TRIBUTI, CIMITERO, VERDE PUBBLICO E PERSINO I BAGNI COMUNALI . Un modus operandi in cui sono stati accertati collegamenti diretti e indiretti con esponenti dei clan e pregiudicati locali e che ha caratterizzato anche altri settori, quali la riscossione dei tributi, il verde pubblico (“amministratori con legami societari e cointeressenze economiche con ditte contigue alle locali consorterie mafiose e destinatarie di interdittive antimafia”), la gestione dei servizi cimiteriali e persino il servizio di pulizia dei bagni comunali. “Semplificazioni procedimentali – le definisce la relazione con tanto di virgolette – non previste in alcuna disposizione di legge”.

CASE POPOLARI AI DELINQUENTI. Infine, c’è l’affare delle case popolari: “pratiche decise senza eseguire alcun criterio, nemmeno quello cronologico,” in favore di soggetti criminali o con rapporti di parentela e “frequentazione con esponenti delle cosche locali”, ovviamente in totale “assenza di controlli sulle autocertificazioni attestanti i requisiti richiesti per la partecipazione al bando”. Insomma: case del popolo che anziché andare a chi aveva realmente bisogno, finivano in mano ai criminali, anche con “occupazioni ‘sine titulo’ da soggetti appartenenti alla criminalità organizzata”. Un sistema, in definitiva, che anche da questa sintesi di appena sei pagine – aspettando il resto – conferma l’assoluta necessità “dell’intervento dello Stato per assicurare la riconduzione dell’ente alla legalità”. Intervento che, vista la gravità, durerà 18 mesi: il massimo possibile per un commissariamento a seguito di uno scioglimento per mafia.

di Alessandro Galano


 COMMENTI
  • tommaso

    10/08/2021 ore 19:59:52

    E che schifo !!! I cittadini che pagano le tasse e la gentaglia che si divide la torta con delinquenti, e si dicono pure "tutt a post" . Che l'indagine faccia una bella pulizia, anche se poi queste situazioni nel tempo tornano, sono virus difficili da debellare. E' proprio uno schifo !!! Come si sentiranno quegli elettori onesti che si son fidati ? Il tradimento .... che vergogna !!!
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