“Il dolore? È disumano raccontarlo attraverso storie comode”: intervista a Daniele Mencarelli
Lo scrittore colto durante il suo tour con i Presidi del Libro
Il suo ultimo libro “Fame d’aria” arriva dopo “La casa degli sguardi”, “Tutto chiede salvezza” e “Sempre tornare” che conclude la trilogia biografica. È Daniele Mencarelli, protagonista in Puglia di un tour organizzato dai Presidi del Libro, in giro dal 23 maggio (a Foggia, in Biblioteca) con puntate mattutine anche nelle scuole. Tra queste, quella realizzata il 24 maggio con gli alunni dell’Istituto P. Giannone di San Marco in Lamis. Di seguito, in un’accorata intervista a cura di Cinzia Rizzetti, lo scrittore parla dei suoi libri, del dolore, della poesia e del potere della scrittura.
Tutti i suoi libri hanno un comune denominatore: la speranza oltre ogni evidente disperazione, la possibilità di ricominciare. È così? Sì, perché sono libri che partono da un’espressione reale del dolore. Io penso che un uomo quando vive attraversa fasi di sofferenza, di dolore, e in questo dolore non ci sta comodo, quindi la speranza è quell’orizzonte possibile che a me piace raccontare, anche perché credo che nella letteratura contemporanea ci sia un grande gusto nel raccontare storie comode nella sofferenza, invece ritengo che questo sia profondamente disumano. Chi sta male vorrebbe stare meglio, anche se non sempre è possibile.
Ha sentito la necessità di raccontare il problema dell’autismo e il calvario che vivono le famiglie con figli con gravi disabilità: la sua è una voce prestata a chi non ha voce? È una bellissima definizione. A me piace la letteratura intesa in questo modo. Uno scrittore non vive fenomeni diversi decontestualizzati dal resto dell’epoca in cui si trova, io ho vissuto negli ultimi dodici anni nel mondo della neuropsichiatria infantile con un destino più benigno rispetto a quello che racconto nel mio ultimo libro. Ho conosciuto così tanti famigliari, tanti padri e madri alle prese con i disturbi dello spettro autistico, più o meno gravi. Io credo che sia uno dei temi meno affrontati nel nostro paese e in tutto l’Occidente per quanto riguarda l’autismo a basso funzionamento. L’Italia ha un problema enorme con le disabilità: è un Paese che vive di abbandoni, verso i bambini disabili e verso gli anziani.
C’è un tipo di dolore che vince? C’è un dolore che esiste e “non cedibile”. Io credo che esista tanto più dolore perché l’uomo ha perso disponibilità rispetto ai temi dell’esistenza. Siamo in una biblioteca ci sono libri che parlano lingue diverse capaci di raccontare la vita e il dolore dell’uomo, molte di queste lingue si sono seccate, ma rivivranno sicuramente con la poesia.
E proprio la poesia è sempre presente nei suoi romanzi, vero? La lingua della poesia è quella che ho avuto la fortuna di incontrare da adolescente e che meglio ha svelato a me stesso una parte della mia natura attraverso le parole di altri. Questa è la sua grandezza, ma la grande scommessa di tutti e quattro i romanzi è trattare temi che tendenzialmente erano i grandi temi di riferimento proprio per la poesia, cioè i temi esistenziali. L’uomo come Pietro, il protagonista del libro, padre di Jacopo affetto da autismo a bassissimo funzionamento, attraversato dalla prova del dolore, le domande sull’esistenza, su Dio, sul significato della sofferenza stessa, se li pone. La poesia era la lingua dove i grandi vertici umani sono stati raccontati, sapeva esprimere meglio non solo il dolore ma anche i vertici opposti, quale l’amore.
Dei suoi personaggi inqueti qual è quello che ha abbracciato idealmente di più? Senz’altro Pietro. Anche se è un personaggio d’invenzione è quello che ho più sofferto, più vissuto.
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