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Foggia, 8 marzo: buona festa del migrante che vende le mimose al semaforo

L’immagine “banksiana” della giornata: chi guarda il dito, chi la luna

Quando il dito indica la luna, lo stolto guarda il dito: vuoi vedere che la vecchia saggezza popolare ci ha preso ancora? Già, perché il rischio di inciampare nella retorica è alto, ma tant’è: la scena del migrante che vende mazzi di mimose al semaforo deve far pensare. O almeno, guardare oltre: non alla mimosa, intanto. Non solo.

“PANE E PACE”. Inutile girarci intorno: per chi non lo sapesse, o per chi ne snobba il ricordo, l’8 marzo celebra una ricorrenza politica precisa, con riferimenti importanti che vanno al di là del famoso incendio dell’opificio di New York in cui morirono 129 operaie. L’ultima domenica di febbraio del 1917 (corrispondente all’8 marzo del calendario gregoriano), le donne e vedove di guerra di San Pietroburgo scioperarono in piazza per costringere lo Zar a ritirare le proprie truppe: “Хлеба и мира” urlavano, “pane e pace”. Un evento che fu il culmine di una serie di manifestazioni socialiste in difesa dei diritti delle donne cominciate dieci anni prima un po’ ovunque e che chiedevano parità di trattamento sul lavoro, negli incarichi pubblici, nella formazione accademica e professionale. E, non ultimo, il diritto di voto.

“LAVORO E VITA”. Pane e pace, insomma, sintetizzando al massimo. O anche, trasferendo lo slogan sovietico a commento dell’immagine di cui sopra: lavoro e vita. Che poi, sintetizzando ancora, è quel che chiedono, no? Anche loro, i migranti con il mazzo di fiori simbolo della presunta parità di diritti tra i generi: non morire al di là del mare, non morire al di qua del mare. Lavorare. Vivere. Magari senza dover ridursi a un semaforo, illegali tra altri illegali italiani, ambulanti non autorizzati perseguibili e perseguiti dagli agenti in divisa, proprio com’è accaduto a Foggia in queste ore, con tanto di sequestri e nota del Comune in difesa dei commercianti onesti – legittima, legittimi.

IMMAGINE “BANKSIANA”. Nella terra capitale del caporalato, nel giorno tradizionalmente dedicato alla donna, l’immagine del migrante col mazzetto di fiori gialli assume contorni vagamente “banksiani”: nell’esatto momento in cui la banconota sporge dal finestrino dell’auto si celebra l’acquisizione di una parità di genere ma, al contempo, anche l’attestazione di una condizione di inferiorità umana. I diritti – civili, sociali, economici o umani che siano – non sono una concessione di una cerchia di privilegiati, ma un’estensione naturale di un concetto di uguaglianza: o è pane e pace per tutti o non lo è per nessuno.

GIORNATA INTERNAZIONALE DELLA DONNA. Nella società di Instagram, in cui l’immagine è tutto – è essa stessa il mezzo, dicono i bravi – tanto vale riflettere secondo questa logica, magari al semaforo, durante il rosso, nella terra dei pomodori e degli schiavi e delle schiave – bianchi, bianche e di colore. E farlo proprio l’8 marzo, 23 febbraio secondo il calendario russo, durante la “Giornata Internazionale della Donna”. Che ognuno sia libero di guardare il dito oppure la luna. Sempre che si sappia ancora distinguerli.

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di Alessandro Galano


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