Maxi operazione "Game over": dall'omicidio Tizzano alla "cassa comune" della droga e le "squadre di spaccio"
Ottantuno persone in carcere, una ai domiciliari. La maxi operazione antimafia condotta all'alba contesta i reati di associazione per delinquere finalizzata al traffico ed allo spaccio di sostanze stupefacenti ed altri reati, aggravati dal metodo e dalla finalità mafiosa.
L'OMICIDIO. L’imponente indagine antimafia convenzionalmente denominata “Game Over”, condotta dal Nucleo Investigativo del Comando Provinciale Carabinieri di Foggia e coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Bari, trae origine dal procedimento relativo all’omicidio - di matrice mafiosa - di Roberto Tizzan e al contestuale ferimento di Roberto Bruno, entrambi esponenti di rilievo della batteria “Moretti-Pellegrino-Lanza”, sotto-articolazione dell’organizzazione mafiosa nota come “Società foggiana”, attinti con colpi d’arma da fuoco il pomeriggio del 29 ottobre 2016. Per tale delitto di mafia sono stati condannati, in via definitiva, Patrizio Villani, Cosimo Damiano Sinesi e Francesco Sinesi, tutti appartenenti alla batteria antagonista “Sinesi-Francavilla”. Le sentenze hanno accertato che mandante dell’efferata azione era stato Francesco Sinesi, in risposta al tentato omicidio perpetrato, il 6 settembre 2016, ai danni di suo padre Roberto Sinesi, capo storico dell’omonima batteria mafiosa. Il luogo del delitto, bar “All’H24” di Foggia, si è rilevato, a seguito delle indagini compiute, la base operativa centrale del traffico di sostanze stupefacenti.
GAME OVER. Dagli sviluppi investigativi svolti al riguardo, mediante l’uso massivo di attività tecniche, anche di ultima generazione, è stata possibile, nei periodi successivi, l’esecuzione – tra le altre – di due importanti inchieste antimafia coordinate sempre dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Bari e precisamente: “Decima Azione” e
“DecimaBis”.
L’operazione eseguita oggi, convenzionalmente denominata “Game Over”, rappresenta la prosecuzione, sul versante investigativo, nell’azione di contrasto nei confronti dell’organizzazione mafiosa “Società foggiana”. Si è in particolare focalizzata sulle fonti di guadagno illecite di tale struttura criminale che, secondo le indagini, sono derivanti da due canali: le sistematiche estorsioni, compiute ai danni al tessuto imprenditoriale e ricostruite nei dettagli dalle indagini Decimazione e Decimabis, praticate con lo scopo di far confluire i proventi illeciti nella “cassa comune”, utilizzata per il sostentamento, l’assistenza e la sopravvivenza del
sodalizio mafioso; il fiorente traffico di sostanze stupefacenti, perpetrato con aggressivo e minuzioso sistema di
regole, che hanno garantito, ai vertici operativi del sodalizio, non a caso coincidenti con i vertici delle “batterie” mafiose, la possibilità di un controllo capillare e di una posizione di monopolio nella vendita della cocaina, attraverso l’imposizione dell’obbligo, a pena di pesanti ritorsioni anche armate, di commercializzare esclusivamente la sostanza stupefacente fornita dal sodalizio stesso.
LA CASSA COMUNE. Tale imposizione, attuata con le caratteristiche tipiche delle organizzazioni mafiose, ha assicurato all’associazione consistenti profitti illeciti ed ulteriori 7 Euro per ogni grammo di cocaina venduta a Foggia. Profitti, questi, utilizzati anche per alimentare la “cassa comune”, funzionale al perseguimento degli scopi criminali della cd. “Società foggiana”.
Secondo quanto emerso e ritenuto dal Gip, i delitti contestati sarebbero stati perpetrati con metodologie organizzative ed operative che ricalcano fedelmente quelle praticate in materia di estorsioni. Le tre articolazioni
componenti l’aggregato mafioso della “Società foggiana”, infatti, hanno esercitato la loro “pressione mafiosa” per la monopolizzazione del traffico di cocaina sul territorio cittadino.
LA PIANIFICAZIONE. Per tali narcotraffici, infatti, il sodalizio in questione:
ha pianificato dettagliatamente l’organizzazione del traffico di cocaina attraverso continue riunioni in cui sono state determinate rigide regole (c.d. “cartello del narcotraffico”); ha imposto il monopolio della vendita di cocaina nella città di Foggia, mediante una forza intimidatrice propria, derivante dal riconosciuto nonché temuto spessore criminale dei soggetti al vertice dell’organizzazione stessa, direttamente investiti dagli storici capoclan, che si sono avvalsi di una fitta rete informativa, utilizzata per controllare militarmente le “piazze” di
spaccio; ha immesso sul mercato cittadino considerevoli quantitativi di sostanze stupefacenti, stimati in
circa 10 chilogrammi al mese di cocaina, acquistata ad un prezzo di poco inferiore ai 40 euro al grammo, poi rivenduta, a seconda dei casi, a 55 o 60 euro al grammo. I profitti realizzati dalla consorteria mafiosa sono quantificabili in almeno 200.000 euro al mese, e le dosi di cocaina immesse sulle piazze di spaccio corrispondono, invece, a circa 50.000 al mese; ha usufruito di depositi sorvegliati per la custodia ed il confezionamento della cocaina; ha “governato” le piazze di spaccio con una fitta rete di venditori, tutti pienamente consapevoli
di operare illecitamente nell’ambito di contesto associativo asservito a scopi mafiosi (c.d.
finalizzazione mafiosa del narcotraffico), inquadrati in vere e proprie “squadre operative” e
ripartiti, secondo il livello operativo, nella “lista dei grossi” e nella “lista dei piccoli”, a cui
venivano distribuiti con cadenza regolare quantitativi prestabiliti di cocaina, nell’ordine delle
centinaia di grammi i primi e delle decine di grammi invece i secondi;
ha mantenuto una minuziosa contabilità della droga distribuita alle “squadre di spaccio” e dei relativi corrispettivi realizzati, riscuotendoli mediante gli “addetti al giro inverso” presso gli spacciatori ed elaborando così vere e proprie “liste della contabilità”, funzionali alla gestione del narcotraffico; ha raccolto i profitti del traffico di droga e, in analogia con la gestione dei profitti delle
estorsioni, ha alimentato la “cassa comune”, utilizzata per distribuire i guadagni illeciti,
assicurare somme ai sodali, denaro devoluto al mantenimento dei familiari ed accoliti in stato di
detenzione, anche al fine di scoraggiare il fenomeno del pentitismo.
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