“l’Uomo Partita” è il re nudo: la pazza (e riuscita) idea di un arbitro a teatro
Lo spettacolo dell’attore Mimmo Padrone
“Sto lavorando duro per preparare il mio prossimo errore”, risponde il signor K. in un noto racconto di Bertolt Brecht. È l’ispirazione, l’arnese giusto con il quale scardinare il cuore del protagonista de “l’Uomo Partita”, spettacolo in scena il 3 e 4 dicembre al Teatro della Polvere di Foggia, anteprima assoluta inserita nella rassegna Foggia Festival Sport Story 2022.
L’ESTREMA SOLITUDINE. Dal più grande drammaturgo tedesco del Novecento a un riuscito esempio di nuova drammaturgia contemporanea, riduzione teatrale tratta dal libro “Litania di un arbitro” (66thand2nd, 2009) dell’autore Thomas Brussig, anch’egli tedesco, considerato una delle penne più talentuose dell’ex Ddr. Una narrazione che diventa monologo teatrale nella pazza – ma neanche tanto – idea di Mimmo Padrone, regista e unico attore in scena di uno spettacolo calibratissimo che ha per protagonista un arbitro internazionale colto in un momento di estrema solitudine. Una resa in crescendo, dal dosaggio millesimato, in cui la trama è il personaggio e la tensione è regolata su uno spartito di fine orologeria teatrale: cinquantacinque bastevoli minuti per smontare l’immenso baraccone del pallone e per umanizzare la più asettica delle figure sportive.
LA MENZOGNA E L’ECCITAZIONE. L’Uomo Partita è solo, infatti. È solo ed è chiuso nel suo piccolo spogliatoio di arbitro, nella medesima solitudine in cui anni prima sentiva – e riconosceva, uno per uno – i calci contro la porta dei giocatori sconfitti, convinti di aver subito un torto. Fuori, sugli spalti, in campo e nelle molte migliaia di schermi lo show sta per cominciare, con tutto il suo corollario di menzogne. “Non sono stato io”: d’altronde è questo, secondo il protagonista, l’esatto sottotitolo di una partita di calcio, il veridico sottopancia che ogni calciatore dovrebbe avere per tutti i novanta minuti in cui si esibisce sul prato verde. Ma poco o nulla importa alla gente, al tifoso che torna Neanderthal per un’ora e mezzo di insulti e rumore: egli vuole l’eccitazione, egli paga l’eccitazione, egli pretende l’eccitazione e a dargliela, paradossalmente o no, è solo quell’omino col fischietto. È solo un suo possibile, auspicabile, errore umano.
IL RE E’ NUDO. Ma cosa succede se a sbagliare non è l’ultima figura romantica del pallone? Se l’errore ha conseguenze ben più gravi di una sconfitta immeritata? Se il taglio, l’incisione chirurgica, apre all’irreversibile? Succede la metafora – o l’ossimoro – di un gioco che non è mai stato soltanto un gioco rispetto alla vita vera. Succede lo strappo al cielo di carta di Pirandello, la tragedia che sfiata e “lo squallore disgraziato e l’uomo miserabile” quale resa finale, per dirla con le parole di un grande di oggi. Succede che il re è nudo: colui che decide chi perde è colui che ha perso tutto.
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