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MACCHEMUSICA/Les fleurs des Maladives: il rock dei fiorellastri

La rubrica curata da Auciello e Cavotta

Nuovo appuntamento con la rubrica di Foggia Città Aperta, “MACCHEMUSICA”, a cura di Simona Auciello e Alessandro Cavotta, per scoprire giovani talenti e conoscere artisti. 

LES FLEURS DES MALADIVES . Un furioso trio che cerca di rianimare la salma del rock italico a colpi di bigmuff e liriche taglienti. Nel 2007 parte il loro progetto dopo una demo piaciuta al compositore e produttore discografico Mauro Pagani. Alla fine di un concerto di Nada, la fermano per farle conoscere alcuni loro brani e subito fanno breccia nel suo cuore con il brano Novembre, brano che viene poi scelto dalla cantante come brano ufficiale inserito nel suo tour. Nel 2010, cambia la formazione, firmano il contratto con l'etichetta ZetaFactory e il 12 novembre del 2013 esce l'album Medioevo anticipato dal singolo omonimo il cui videoclip, realizzato in collaborazione con il gruppo Matriosca Video, riscuote un ottimo consenso e visibilità. L’attuale formazione è composta da Davide Noseda (voce, chitarra, testi), Ugo Canitano (basso e cori) e Alberto Maccarrone (batteria e percussioni).

L’INTERVISTA. La grande truffa dell'indie rock (il brano), il cui titolo è un riferimento all’album dei Sex Pistols. In questa canzone cantate: “Siamo i figli di una scena indipendente che d'indipendente non ha niente”. Se prima c'era una distinzione tra mainstream e underground, ormai si sono rovesciati e mescolati i confini, cos'è l'indie oggi? e perchè invece di un’opportunità da chi proviene dal basso, è per voi una truffa?     
L’indie a livello storico è un movimento di autodeterminazione, anche i Nirvana erano Indie. Ha cambiato faccia l’indie, prima era definita cultura underground, poi è diventata una cosa indefinita fino ai casi italiani di Calcutta e i The giornalisti. Non c'è chiarezza, nel senso che quello che manca è l'onestà intellettuale dell'artista e di chi lo propone, come un prodotto che dovrebbe essere indipendente, di retrocultura ma in realtà non lo è affatto perché mi stai vendendo la canzoncina che dell’essenza indie quella vera del termine non ha nulla.


IL VIDEO.
Da alcuni vostri brani come Medioevo, o come Homo sapiens (che fa parte dell’album Il rock è morto) di cui il videoclip è un chiaro rimando a 2001: Odissea nello spazio di Kubrick, ci sembra di captare uno spirito anti progressista, quella che sentite è la minaccia dell'evoluzione?
Non siamo antiprogressisti, noi siamo per il progresso, l'evoluzione è una parte integrante dell'essere umano, è un aspetto importantissimo. Non siamo anti progressisti, si può dire che abbiamo spirito critico nei confronti della modernità laddove la modernità si intende adeguamento alla cultura di massa. Tutti quanti occorre conformarsi a qualcosa per progredire, anzi è esattamente l'opposto, è principalmente interiore il progresso, distante dal discorso di massificazione, che poi si riverbera nei confronti della società, o almeno questo è quello che trasportiamo nei nostri pezzi.
 
Nel pezzo Naba Design Blues fate la parodia dell'hipster dei giorni d’oggi, il dandy postmoderno, curato nei dettagli estetici ma vuoto di rimandi culturali. Vorrei sapere come è nata la scelta di questo brano e i vari collegamenti artistici che ci sono all’interno di esso.   
Il testo contiene collegamenti colti e precisi all'arte: per esempio il motto Less is more “il meno è più” di Van der Rohe e le famose scatole di Piero Manzoni, scatole di “merda d'artista” dal nome dell'opera che Manzoni aveva fatto come una critica della produzione di massa e del consumismo, e che nei giorni odierni assume un accezione diversa. Noi siamo di Como, Milano è vicina, suonando nella zona di Milano, abbiamo avuto influenze culturali milanesi. La Naba è l’Accademia di Belle Arti di Milano, la più grande Accademia privata italiana l'abbiamo conosciuta tramite amicizie e conoscenze di persone che la frequentavano, l’abbiamo usata come una metafora di tutto quello che ci siamo detti fino ad ora: la cultura di massa, le mode. Non critichiamo, noi diamo un punto di vista diverso, c'è chi scrive canzoni d'amore vuote, noi ci mettiamo il sentimento in quello che facciamo, parliamo dell'identità delle persone che non deve farsi soffocare da tutto quello che succede intorno, la massificazione tramite canoni proposti dalla televisione e di quello che c'è intorno. Non siamo arrabbiati, è piuttosto uno sfottò, non è satira, non è critica, è un modo di esprimersi di parlare di una tematica che abbiamo a cuore. 
 
Avete dedicato un brano a Dharamsala, la città indiana dove dal 1960 è in esilio il governo tibetano. Com'è stato produrre un brano denuncia così forte e soprattutto com'è stato ricevere il premio da Amnesty International.
Abbiamo avuto il premio da Amnesty International in occasione festival Voci per la libertà che seleziona ogni anno brani provenienti da tutta Italia aventi per tema quello dei diritti umani.  Ricevere il premio da Amnesty International è stata un emozione fortissima, ricevere un riconoscimento del genere fa stare bene. Il tema dei diritti umani per noi è stato per noi un lavoro molto forte, soddisfacente, non ce l'aspettavamo. Ci hanno contattato dicendo se volevamo partecipare con questa canzone, noi abbiamo accettato e siamo andati in semifinale al festival, abbiamo proseguito verso la finale e infine ci hanno premiati. La situazione a Dharamsala è drammatica, è difficile parlarne, dal 1970 non c'è più perché è stata totalmente colonizzata, il governo tibetano è andato in esilio in India e i numerosi messaggi del Dalai Lama per cambiare la situazione, e per denunciarla, vengono ignorati dai media. Per eliminare la razza fanno riprodurre donne cinesi con uomini tibetani, è un genocidio terribile. Sono gli orrori della Guerra, che purtroppo al mondo d'oggi accadono ancora.  

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di Redazione 


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