Stampa questa pagina

Insicuri e iperconnessi, la "Generazione Sushi" raccontata dai Fanoya L'INTERVISTA 

Una fusione tra analogico e digitale, tra passato e presente. E' quella del progetto Fanoya, datato 2016. E come tutti gli amanti della musica anni Novanta, Giacinto Brienza (voce/chitarra) e Leone Tiso (synth), hanno deciso di unire la loro passione per la musica e la scrittura, partendo da quel decennio magico. A luglio 2019 hanno pubblicato “Generazione sushi”, il disco d’esordio dei Fanoya, che ha visto la band pugliese in giro per un tour estivo aprire i concerti di Max Gazzè, Calcutta, Achille Lauro, Simone Cristicchi e Carl Brave. 

L’INTERVISTA. Come mai vi chiamate Fanoya? È per caso riconducibile alla tradizionale fanoja, il falò in onore di San Giuseppe molto sentita dal popolo garganico? 
Quando abbiamo fatto il disco avevamo una lista di nomi, ma nessuno ci piaceva. Poi all'improvviso è saltato fuori questo nome che dalle nostre parti in Puglia, come dicevi, è la rievocazione storica del tradizionale falò (detto fanoja, appunto). La cosa ironica, però, è che a Milano, il nostro nome suona più come un qualcosa che fa noia “farsi di noia”. Avere un nome che ricordasse le nostre origini ma che non fosse troppo invasivo (con la ipsilon) ci è sembrato perfetto. 
Nella biografia che vi descrive sui social network, definite il genere che proponete come Sushi Pop. È chiaramente ironico, ma quale significato c'è dietro questa scelta? 
Il sushi è metaforicamente il volto della generazione dei trentenni dei nostri tempi, racchiude un po' il senso dell'intero nostro primo album Generazione Sushi, appunto. Il disco è una fotografia della società contemporanea: l'aperitivo, i social, la precarietà lavorativa e sentimentale. Insicuri e iperconnessi. 
Nel video di Ricordi gli accordi vi avvalete di un protagonista noto ai grandi schermi Haruhiko Yamanouchi, con la sua mimica facciale esprime esattamente il disagio di un'intera generazione. 
In Ricordi gli accordi volevamo andare in contrasto con i soliti fotomodelli dei videoclip musicali. Protagonista straordinario è l’attore giapponese Haruhiko Yamanouchi (ha lavorato con Wes Anderson, Dino Risi, James Mangold). Colpisce subito per il suo sguardo enigmatico, colmo di rassegnazione. Il video è stato diretto magistralmente da Gaetano Narducci (anche lui foggiano, di Monte Sant'Angelo), in questo lavoro, Gaetano è riuscito a racchiudere il senso dell’intero album: la malinconia che si sposa con la spensieratezza. Un altro brano ha suscitato curiosità, ed è Torno giovedì. Il pezzo parla di un amore che finisce “non sei più qui, chiudo la porta torno giovedì”. 
Solitamente è il lunedì il giorno prescelto per ricominciare, come mai il vostro protagonista opta per il giovedì? 
Sì, esatto, normalmente si ricomincia di lunedì: la dieta, la palestra, i buoni propositi. Volevamo però mantenere la coerenza dei fatti parlando, appunto, di questa generazione un po' sbandata, sfasata. Quando una relazione finisce, non hai la lucidità di decidere quando e come ricominciare, il protagonista vuole solo uscire da quella stanza che un tempo era colorata e che ora non lo è più. Il pezzo è una ballad synth-pop abbastanza radiofonica, parla delle cose semplici che fanno parte di una relazione e di quando tutto finisce in malora e diventa bianco e nero. 
Ti ho trovata su Tinder, altro singolo del vostro album incentrato appunto sulla app di incontri. Prendo dal testo questa frase “...del sipario laviamo le tende” il senso di questa frase è che ormai è più importante la cornice (anche nel senso social del termine) che il palco (o contenuto) in cui avviene l’opera? 
Con l’espressione “laviamo le tende” è un po' il vedere (come dicevi tu) la cornice, è il tentativo di trovare la passione di una sera, i luoghi comuni, i tentativi di non risultare mai banale, infiocchettare l'aspetto estetico della persona, del palcoscenico, esasperare anche a volte la propria persona cadendo nell' inadeguato. L'esigenza di sentirsi “sempre sul pezzo”, che poi è il senso anche di Multinazionale della Felicità (altro brano del disco), la corsa all' utopico posto fisso, la soddisfazione personale che dura pochissimo e che fa spazio poi all'alienazione più totale, individui comandati da algoritmi che non sono di benessere ma di sola produttività. 
Avete avuto il piacere e l'onore di condividere il palco con grandi artisti, com'è stata questa esperienza e cosa contraddistingue i Fanoya in questo panorama musicale in cui tutto sembra già sentito? 
Aprire i concerti di Max Gazzè, Calcutta, Achille Lauro, Simone Cristicchi e Carl Brave è stata sicuramente una figata pazzesca, è stata un’esperienza incredibile conoscere questi personaggi che hai elencato. Artisti che non sono arrivati a raggiungere quelle soddisfazioni e quei numeri per caso, dietro hanno anni di studio, sacrifici e gavetta. Non sapremmo dirti cosa ci contraddistingue in questo panorama musicale, noi con molta onestà non crediamo di aver inventato niente, abbiamo composto la musica che ci andava di ascoltare, abbiamo scritto cose che ci veniva semplice e spontaneo scrivere, abbiamo messo tutto in un frullatore et voilà.
(Simona Auciello)

di Redazione 


 COMMENTI
  •  reload