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Pietre contro i lavoratori migranti, i commenti: “Ci avete costretto a essere razzisti”

Alla critical mass antirazzista, i foggiani sconcertano

Questo pezzo è un errore: dare visibilità a chi non la merita, per l’indegnità di ciò che dice, non va mai bene. Tuttavia, anche ignorare l’eversione apertamente xenofoba è un male, soprattutto quando diventa violenta. Pericolosa. D’altronde poi, tra questi due estremi di pensiero è nato un partito politico, tuttora in maggioranza: vuoi vedere che non possiamo sbagliare un articolo?

FOGGIANI, “ACCIDENTALI” RAZZISTI. Che poi, che razza di articolo è? Un pezzo sui commenti ad un altro pezzo, anzi, nemmeno: alla diretta video su Facebook pubblicata da una piccola redazione di provincia, meridionale, riguardante una manifestazione in piazza. Un pezzo che titola la frase di una benpensante (non scriveremo i nomi, che comunque sono pubblici, bastano i concetti): “Ci avete costretto ad essere razzisti”. Da qui, comunque, l’idea di scriverne. Prendendo finanche in considerazione quello che sembra un assunto filosofico, un vero e proprio pensiero, anche se in stile capanna dello Zio Tom: i migranti, le persone di colore, gli esseri umani (fino a prova contraria) che scappano a qualcosa di tremendo per trovare qualcos’altro di miserabile, sono la causa del “nostro” accidentale razzismo. Di bianchi, meridionali (fino a qualche anno fa in fuga da qualcosa di tremendo per trovare qualcos’altro di miserabile). Italiani, foggiani. E razzisti.

PRIMA GLI ITALIANI DI FOGGIA, CORSO ROMA, SCALA A. Superfluo, in questa sede, scomodare la Storia. Chi scrive così e chi l’ha fatto lì, sotto a quel video, sul social network più pubblico e famoso al mondo, con tanto di foto profilo, persino pubblicando il video di un lanciafiamme (ma forse è la citazione di un famoso libro di Bradbury?), se ne sbatte altamente del passato. È alla ricerca del proprio “lebensraum”. Spazio vitale. Qui, subito, fosse anche sulla tastiera di uno smartphone – i tempi son questi, d’altronde. Prima gli italiani, no? Anzi, prima gli italiani di Foggia, giusto? Prima gli italiani di Foggia, magari di Viale Kennedy, o di Corso Roma o Corso Giannone, possibilmente al primo piano, palazzina ristrutturata, scala A, citofonare Rossi-Bianchi, giusto? Anzi, solo Bianchi.

“COSA SI ASPETTAVANO, I FIORI BIANCHI?”. La colpa è di quei quattro migranti che ogni giorno, anzi ogni fine notte, si svegliano per andare a spaccarsi la schiena al posto degli italiani (non tutti, ma quasi), a fare lavori che questi ultimi rifiuterebbero (e rifiutano) anche se avessero un raro contratto in regola tra le mani. La colpa è di quei quattro migranti in bicicletta se non hanno una macchina e se si sono rifiutati di pagare il “trasfert” al caporale di turno, persino denunciandolo in Questura. La colpa è di quei quattro negri “che bivaccano nella Savana” (come ha scritto qualcuno, sempre lì, ignorando quanto sia meravigliosa la Savana) se poi qualcuno, qualche bianco che vuole stare più largo, li ha presi a pietrate – “E che cosa si aspettavano, il lancio dei fiori bianchi?”.

HANNO USURPATO FOGGIA. “La gente non si fida più”, ha scritto un utente, quasi accorato. D’altronde, “hanno portato il degrado, i furti, gli esercizi chiusi, le rapine”. Loro, quelli con la bici, e poi quegli altri, in Via Podgora, che bivaccano con le bottiglie in mano manco fossero i quindicenni bianchi di Piazza Italia. “Per colpa loro non si può più andare in giro”: loro, sempre loro, perché “Hanno usurpato una città”. L’hanno usurpata Foggia, capite? Se la sono presa di forza la capitale della Quarta Mafia d’Italia. Il ragionamento fila, “Questo è razzismo verso l’italiano”, come ha commentato un altro foggiano in calce al video di una manifestazione antirazzista: anti, appunto, ma non a favore di qualcuno, non a favore degli italiani, degli italiani di Foggia. Logico che poi uno prende una pietra e diventa razzista: è costretto a farlo. Non vuole ma deve, e questo articolo è davvero tutto sbagliato. Tocca rifarlo, rivederlo daccapo. Cancellarlo. Eliminarlo fisicamente, il pezzo.

di Alessandro Galano


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