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Dalle storie delle detenute, il nuovo libro di Annalisa Graziano: “Raccontare la condizione femminile, la violenza, il riscatto”

In un’intervista l’autrice parla di “Solo Mia”, in uscita per La meridiana

Rinascere, nonostante tutto. Partendo dalle storie vere, dalla violenza al centro di alcuni destini che, lentamente, provano a liberarsi attraverso la forza della narrazione. Stavolta però, si parla di donne: dopo “Colpevoli” (La meridiana), che sviscerava l’umanità dei detenuti in forma di reportage, Annalisa Graziano “torna” in carcere ma rivolge la propria attenzione alle detenute degli istituti penitenziari di Capitanata, forte della propria lunga esperienza in qualità di membro del Centro di Servizio al Volontariato di Foggia (CSV).

L’INTERVISTA. Ormai di imminente uscita, anche “Solo Mia” è edito dalla pugliese La meridiana ed è l’esito di un intenso lavoro di immersione e rielaborazione attraverso il dispositivo del romanzo: in questa intervista, la giornalista e scrittrice foggiana dà un’anticipazione del suo nuovo lavoro. Il libro aprirà la XIII edizione della Festa del Volontariato e sarà presentato il prossimo 25 settembre, alle ore 18.30, nello spazio live della libreria Ubik di Foggia.  

 “Solo Mia”, come il precedente, “Colpevoli”, è un libro che nasce in carcere, anche se ha un taglio differente: storie vere, inserite in una cornice di fantasia. Cosa vuol dire?
A differenza di “Colpevoli”, cui ho dato il taglio del reportage, per “Solo Mia” ho scelto il genere del romanzo. Il personaggio della protagonista è frutto della fantasia, ma i destini che incrocia nella sezione femminile del carcere e quello di “Mia” (solo il nome è di fantasia, per tutelarla, ndr) appartengono alla realtà. Sono storie vere, che ancora non avevano trovato il modo di raccontarsi. Ho scelto il genere del romanzo perché credo che possa avvicinare maggiormente le giovani generazioni a un tema difficile ma, purtroppo, sempre attuale. 
Si parte dalla storia di una donna in particolare, è così?
Eva è una giovane donna che si scopre intrappolata nelle maglie della forma di violenza più subdola. Il suo personaggio, per quanto concepito dalla fantasia, si ispira ad alcune storie reali, che ho potuto ascoltare nell’ambito della mia attività lavorativa. Attraverso il suo personaggio ho voluto analizzare una condizione che, purtroppo, vivono molte donne. Ci sono dei segnali che vanno individuati il prima possibile.
C’è la violenza data e quella subìta. Nel libro sono raccontate entrambe, In che modo?
Nel suo percorso di ri-costruzione di sé, Eva sceglie di fare un’esperienza di volontariato in carcere. Qui incontrerà detenute con storie incredibili. Ma non è tutto. Fuori dal carcere, il destino la porterà a conoscere “Mia”, sua coetanea con una storia di violenza alle spalle terribile. Un incontro che le cambierà la vita. Il mondo femminile, scrivi, ha tante sfumature. In situazioni di detenzione questo paradigma si amplifica? Cosa succede?
La condizione femminile in carcere si connota per l’importanza maggiore che viene ad assumere la dimensione affettivo-emotiva. Inoltre, la specificità femminile può richiedere tempi di elaborazione molto più complessi e dolorosi, durante il periodo di esecuzione della pena. Le donne detenute protagoniste di “Solo Mia” hanno vissuti diversi, personalità differenti che hanno imparato a convivere dietro le sbarre.
Quali differenze hai riscontrato tra le storie e la voglia di raccontarsi dei protagonisti uomini di “Colpevoli” e le protagoniste di “Solo Mia”?
Le donne, inizialmente, erano più diffidenti. Le ho incontrate più volte: il processo di narrazione è stato più graduale, ma più profondo. Inizialmente, le risposte erano brevi, contratte. A metà del percorso, invece, mi chiedevano quando ci sarebbe stato l’incontro successivo. Si era creato un ambiente sereno e per questo devo ringraziare Carmen, la coordinatrice della Sezione femminile e tutte le agenti. E, naturalmente, Giovanna Valentini dell’Area Trattamento e l’ex Direttore, Mariella Affatato, che hanno creduto fortemente in questo progetto e mi hanno fornito preziosi consigli.
Si parla tanto di riscatto. Ma una volta terminato il cosiddetto periodo di rieducazione, quanto c’è di astratto in questa parola e quanto, realmente, di concreto?
Non senza difficoltà, negli Istituti penitenziari si costruiscono importanti percorsi di trattamento. Nelle Case Circondariali di Capitanata, grazie al lavoro quotidiano delle educatrici e della polizia penitenziaria, all’attenzione dei Direttori, si realizzano numerosi progetti. Il CSV Foggia, grazie al sostegno della Fondazione dei Monti Uniti di Foggia, finanzia attività di volontariato e, negli ultimi anni, anche altre realtà hanno realizzato proposte interessanti, alcune anche lavorative. Purtroppo, se i risultati di riabilitazione sono concreti, la comunità esterna spesso non è pronta ad accogliere persone che hanno avuto problemi con la giustizia. Sull’elaborazione del concetto di “seconda possibilità” c’è ancora molto lavoro da fare. Per questo motivo, nel libro ho voluto raccontare il grande lavoro che l’associazione Impegno Donna fa nel carcere di Lucera con gli uomini che hanno agito violenza: un’esperienza trattamentale innovativa.
Quanto è importante, per chi ha perso la libertà, far emergere la propria storia?
I protagonisti di “Colpevoli” spesso ripetono che il libro ha dato loro voce. È importante che la società non li etichetti solo come detenuti, ma che guardi oltre. Le storie raccontano di uomini e donne che hanno commesso degli errori ma che, molto spesso, hanno voglia di riscattarsi. Le detenute che ho incontrato per “Solo Mia” mi hanno chiesto di portare il libro nelle scuole. Sono convinte che possa diventare uno strumento di prevenzione dell’illegalità tra le nuove generazioni.
Quale, delle storie raccontate in “Solo Mia”, ti è rimasta nel cuore?
Non è retorica, tutte. Ripenso spesso a Debora, Antonella, Manuela, Lorenza e Vittoria e alle nostre lunghe chiacchierate in carcere. È stato un periodo bello e difficile. La storia di “Mia”, così drammatica, ha lasciato un segno profondo. Abbiamo fatto questo percorso insieme, un’esperienza talmente coinvolgente per entrambe che ha creato un legame molto forte tra noi. Oggi siamo amiche e condividiamo un unico obiettivo: raccontare la condizione femminile, il vortice della violenza e il desiderio di riscatto. “Solo Mia” è un libro non semplice, racconta il dolore ma porta con sé un messaggio positivo: è possibile rinascere, nonostante tutto.

di Redazione 


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