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Usura, l’importanza della denuncia: il caso della vedova capace di reagire

Il racconto della Fondazione Buon Samaritano

A distanza di pochi mesi dall'arresto in flagranza di reato eseguito dagli uomini della Polizia di Stato, coordinati dal sostituto procuratore Pasquale De Luca, è stato disposto il rinvio a giudizio di AC per il reato di usura, rapina ed estorsione. Il processo avrà inizio il prossimo 15 settembre, come decretato dal GIP, Marco Giacomo Ferrucci, all'esito dell'udienza preliminare.

LA DENUNCIA. Una così serrata tempistica – spiega la Fondazione Buon Samaritano - rappresenta l'ennesima dimostrazione dell'efficienza del sistema giudiziario quando le vittime dei reati di usura ed estorsione collaborano, creando così i presupposti per la migliore forma di contrasto al dilagante fenomeno criminale. Anche in questa circostanza la Fondazione, rappresentata dall'avvocato Maria Laura Trisciuoglio, non ha esitato a essere presente nell'aula penale accanto alla vittima, al fine di testimoniarle la vicinanza sua e dell'intera città, costituendosi parte civile. La Fondazione è infatti impegnata a tutelare chi è travolto dal devastante fenomeno usurario e a salvaguardare un diritto costituzionale, la dignità dell'essere umano nella sua dimensione sociale. La Fondazione ha inoltre messo a disposizione i propri legali, gli avvocati Enrico Rando ed Andrea D'Amelio, affinché anche la vittima di usura si costituisse parte civile nel procedimento penale, come puntualmente avvenuto.

LA TRISTE VICENDA. Nel caso in questione, tra i più inquietanti che la Fondazione si è trovata finora a gestire, si contesta il reato di usura, rapina ed estorsione ai danni di una vedova, con un figlio minorenne a carico, costretta a restituire, secondo l'accusa, la somma di 11mila euro in poco più di un anno, a seguito di un prestito iniziale di 3.800 €. Il prestito era stato contratto per l'acquisto di un'utilitaria usata, necessaria alla vittima per accudire e assistere la propria mamma non autosufficiente ed affetta da una grave malattia. Alla vittima, sola ed indifesa, non più in grado di fronteggiare le sempre più incalzanti richieste di interessi che aumentavano vertiginosamente, le venivano prima sottratte l'automobile e il cellulare, veniva poi ripetutamente minacciata e infine picchiata. Ma alla fine – concludono dalla Fondazione -, persa ogni forma di dignità per le continue umiliazioni subite, un atto di ribellione: la denuncia, un atto che le ha consentito di riacquistare fiducia in se stessa e la dignità perduta.

di Redazione 


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