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Mafia, operazione dei carabinieri: colpo al clan Ditommaso

Alle prime luci dell’alba i Carabinieri hanno eseguito un’Ordinanza di Custodia Cautelare in carcere nei confronti del capo e di un altro elemento di spicco del clan Ditommaso di Cerignola. L’ordinanza è stata emessa dal GIP presso il Tribunale di Bari su richiesta della Procura Distrettuale Antimafia – DDA, che ha coordinato fin dal principio le complesse attività investigative che i Carabinieri hanno attivato e sviluppato.

I NOMI. A finire in manette per i reati di rapina, tentata estorsione, autoriciclaggio e violenza privata, tutti aggravati dall’avere agito col c.d. metodo mafioso, sono stati il 49enne Stefano Ditommaso e il nipote 28enne Antonio Rubbio, ritenuti rispettivamente capo ed elemento di vertice del clan Ditommaso, conosciuti anche col soprannome “Taddone”, attivo a Cerignola e nei comuni del basso tavoliere, e con base logistica nel quartiere San Samuele del centro ofantino. Un'altra persona, destinataria dello stesso provvedimento, non essendo stata trovata al momento dell'esecuzione è tuttora attivamente ricercata.

LA RAPINA NEL 2015. Il provvedimento cautelare scaturisce da un complesso impianto d’indagine predisposto dal Nucleo Investigativo di Foggia a seguito della rapina ai danni di un imprenditore, al quale,  nel mese di dicembre 2015, in pieno giorno e nei pressi di un negozio di parrucchiere frequentato da diverse persone, era stata sottratta con violenza un’autovettura di ingente valore. Nel corso della rapina la vittima era stata letteralmente sequestrata da quattro individui armati, che l’avevano costretta a salire su un’altra auto, ma che era poi riuscita a sfuggire loro lanciandosi dall’auto in corsa. In quei frangenti l’imprenditore aveva potuto riconoscere uno dei rapinatori, poi identificato in Antonio Rubbio, che poco prima era entrato nell’esercizio commerciale per studiare i suoi movimenti e colpire nel momento in cui sarebbe uscito per riprendere l’automobile.

AUTORICICLAGGIO. Il giovane, oltre che per la rapina è indagato anche per il reato di autoriciclaggio, in quanto le indagini hanno permesso di accertare che lo stesso, all’indomani della rapina, aveva smontato la macchina, per poi rivenderne i pezzi presso la rivendita di parti di ricambio nuove e usate di cui è titolare a Cerignola.

L’ESTORSIONE. Nei mesi successivi, poi, l’imprenditore era stato avvicinato da Stefano Ditommaso, il quale, in compagnia di altre persone, lo aveva velatamente minacciato rievocandogli la rapina subita, cercando di convincerlo, per la sua tranquillità e il quieto vivere, ad assumere presso la propria azienda un suo amico che stava per terminare un periodo di detenzione. Nell'occasione, l'imprenditore aveva temporeggiato, riuscendo, almeno per il momento, a sottrarsi alla richiesta. Questo diniego aveva allora provocato un ulteriore episodio, ancora più grave e violento: nel mese di giugno 2016 Stefano Ditommaso e un'altra persona si erano recati in un salone di bellezza dove, davanti a numerose persone, a volto scoperto, avevano questa volta apertamente minacciato l'imprenditore, addirittura puntandogli contro una pistola, pretendendo di sapere chi gli avesse riferito che fossero loro i responsabili della rapina subita nel dicembre precedente.

IL METODO MAFIOSO. Per tutti questi reati la Procura della Repubblica - D.D.A. di Bari ha contestato agli indagati l’aggravante dell’avere agito col cosiddetto metodo mafioso, sia per le qualità personali dei soggetti coinvolti, essendo Stefano Ditommaso il capo ormai giudiziariamente riconosciuto dell’omonimo clan, già condannato per associazione per delinquere di tipo mafioso nell’ambito del processo “Halloween”, e Antonio Rubbio, nipote del Ditommaso, elemento di spicco del medesimo gruppo criminale, sia per le modalità della condotta, caratterizzata da platealità ed arroganza,  con la sicurezza di poter confidare sull'omertà dei testimoni, che infatti, sentiti a verbale dai Carabinieri, avevano negato l'accaduto, rendendo ancora più difficoltoso il lavoro degli investigatori, Magistrati e Carabinieri, che fin dal principio si erano dovuti scontrare con un clima di assoluta reticenza.

I PROVVEDIMENTI. Al Ditommaso, inoltre, la Procura della Repubblica - D.D.A. di Bari contesta oggi anche l’aggravante di aver commesso i fatti nei tre anni successivi alla sottoposizione alla sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno. Gli arrestati sono stati associati al carcere di Foggia, a disposizione dell'Autorità Giudiziaria, mentre tutte le persone che nella vicenda hanno fornito testimonianze false o reticenti sono state a loro volta indagate per favoreggiamento personale aggravato.

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di Redazione 


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