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L’amore è un’eternità di soli tre anni: “Il signor Dopodomani” soffre per Ada, e sproloquia

Lo spettacolo del Teatro dei 3 Mestieri

Se è vero che il gioco è una cosa seria – Bruno Munari insegna – allora si può giocare anche con il dolore. Sminuendolo? Al contrario. Esaltandolo, persino straniandolo e straniando chi ci sta davanti: nella fattispecie, lo spettatore. È il caso de “Il signor Dopodomani – l’indicibile sproloquio di un condannato a vivere”, spettacolo in scena sabato 1 e domenica 2 aprile (ore 19) al Teatro dei Limoni di Foggia, inserito nella stagione indipendente Giallocoraggioso 2022/23. Opera prodotta dal Teatro dei 3 Mestieri di Messina, di Domenico Loddo e con la regia di Roberto Zorn Bonaventura.

AMORE PALINDROMO. Sul palcoscenico, un uomo. In frac, in vecchio frac, con tanto di canzone. Lamenta, sproloquia, straparla. Di cosa? Di chi, piuttosto. Ada: è di lei che parla, del suo grande amore durato “un’eternità di soli tre anni”, un amore palindromo – come dice – di appena tre lettere che – urla – riecheggiano nell’elenco delle preposizioni semplici, persino lì. E non solo. Perché Ada è tutto e nulla, Ada l’ha lasciato senza Ada, Ada era un concetto fisico – “Non era mai chiaro dove cominciavo io e finivi tu” – ed è diventato un assunto astratto – “C’eri, perché non ci sei, non ci sei stata più, e mai ci sarai ancora”. Un esercizio matematico che non funziona – “perché tre per zero fa sempre zero?”. Talora dolorosamente buffo, dolorosamente folle, dolorosamente grottesco.

L’ULTIMO MESSAGGIO. Stefano Cutrupi – l’unico attore in scena che con grande tecnica avvinghia e fagocita il pubblico – monologa, anzi dialoga con un mangiacassette: Ada è lì dentro. Tutto ciò che è rimasto di quell’eternità durata tre anni è registrato su un nastro magnetico nel quale rivive la sua voce, i momenti trascorsi, i rumori, le gioie, i dolori, fino al suo nuovo amore. È l’ultimo messaggio che gli ha lasciato e che – dettaglio non trascurabile – l’uomo in frac non ha mai ascoltato fino alla fine – non è mai riuscito ad andare oltre una certa soglia: quel dopodomani in cui si sarebbero dovuti incontrare un’ultima volta, per chiarire, forse per capire, e invece… – “Tu non c’eri, non sei venuta!

”PIU’ SORRISI CHE LACRIME. Scorrono le voci ma anche le canzoni, le loro, come nella più classica delle storie finite male: cantautorato italiano, musica leggera, da Franco Battiato a Ivano Fossati, passando per Rino Gaetano e moltissimi altri. In un saliscendi di tono, di ritmo, di isteria che è lo spettacolo stesso: il delirio formato calembour di un condannato a vita che vive la sua condanna come un gioco di parole a perdere, un melodramma démodé che scuce più sorrisi che lacrime. A conferma di quanto assurda possa essere la vita: non una cosa che aggiunge, come dice il protagonista, ma che si perde. A poco a poco.

di Alessandro Galano


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