L’Angola di Fabio Geda tra bellezza e oppressi: la redenzione, attraverso l’attenzione
Il libro dello scrittore torinese
È che a pagina 134, quando comincia la parte denominata "Luanda, Italia", non vuoi più andare avanti. Senti i clacson della capitale, il traffico bloccato di Avenida 21 Rio de Janeiro, Radio Ecclesia, la musica di Paulo Flores che si confonde con le voci delle “zungueiras” che cantano la loro merce in bilico, sulla testa, tra le auto incolonnate e l'oceano, poco lontano. E non vuoi andare avanti, con le pagine. Perché, semplicemente, non vuoi tornare a casa.
APPUNTAMENTO CON L’ANGOLA. È l’effetto che fa “La casa dell’attesa” (Laterza, 2025), il reportage di Fabio Geda, scrittore tra i più importanti e originali della narrativa contemporanea, autore nel 2010 del best-seller “Nel mare ci sono i coccodrilli”. Ospite, grazie alla rassegna Foggia Book Instinct, sabato 11 ottobre, alle 18.30, della libreria Ubik di Foggia. Un appuntamento con l’Angola e con il lavoro dell’associazione Medici con l’Africa Cuamm, preziosa organizzazione non governativa sanitaria italiana nata a Padova nel 1950 e attiva in dieci paesi dell’Africa sub-sahariana. Associazione che, va detto, da ottobre 2024 ha trovato casa anche a Foggia, presso la sede di Solidaunia – altra realtà attiva nel continente – in via Fiorello La Guardia 22.
ESERCITARE LO SGUARDO. Grazie ai medici, agli infermieri, ai volontari, agli autisti, ai logisti del Cuamm, lo scrittore torinese ha visitato – vissuto – l’attuale realtà angolana, raccontando le storie di chi lavora in condizioni estreme e di chi, soprattutto, le vive. Una narrazione personalissima, talora lirica, la quale non indugia mai nel pietismo – l’ultima cosa di cui l’Africa ha bisogno – e piuttosto si concentra sui dettagli di un mondo tutt’altro che impenetrabile: per vedere, come scriveva l’educatore e poeta Danilo Dolci (citato da Geda nel suo libro), basta esercitare lo sguardo.
LA CAPITALE. C’è Luanda, soprattutto. Quella che oggi ancora celebra il medico-poeta Agostinho Neto, primo presidente dell’Angola indipendente – il libro comincia da qui, in realtà. Ex porto schiavista portoghese, poi simbolo del potere coloniale salazarista fino alla sua caduta – Neto ne fece le spese, incarcerato a Lisbona a causa di una fotografia. Una capitale caotica dove l’inflazione divora i prezzi, sospesa tra il quartiere di discendenza portoghese e i grattacieli dei nuovi petrolieri che somigliano tanto ai vecchi, quelli che avrebbero dovuto liberare il paese dal giogo della povertà già nei primi anni Duemila, al termine della guerra civile. Non lo hanno fatto allora, non lo fanno oggi, e le “musseques”, le baraccopoli in cui abitano almeno dieci dei dodici milioni di luandesi, ne sono la prova.
CASA DE ESPERA. Ma l’Angola non è solo Luanda e il libro di Geda, con il suo titolo, lo testimonia: il viaggio ha una meta e questa, nella lingua dei padroni, si chiama “Casa de espera”. Qui, nella regione remota del Cunene, tra i kimbo coltivati e le strade senza strade, ad aspettare, letteralmente, sono le madri: sembra un miraggio e invece esiste, piccolo villaggio di sole donne in attesa di dare la vita. In sicurezza, accudite, a ridosso dell’ospedale dove operano i medici del Cuamm. Prendersi cura, aspettare, stare: è tutto qui il senso. Oppure “hypomoné”, come scrive Fabio Geda, declinando tutto questo dal greco antico. La redenzione, come ha scritto qualcuno, attraverso l’attenzione.
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