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Fermata “Aqva Mood”, città di New York: un concerto nel segno di Miles VIDEO

Il secondo live della rassegna "I 4 Elementi"

Quando il mondo ti strizza l’occhio, c’è da essere orgogliosi. Soprattutto se ti chiami Foggia e sei una città di provincia, stritolata, verrebbe da dire, tra Milano e Parigi, prima di Londra, Berlino e Vienna. È il tour di Jason Miles d’altronde, protagonista ieri sera, lunedì 26 febbraio, al ristorante/club Aqva, secondo appuntamento della rassegna “I 4 Elementi” organizzata in sinergia artistica con il Moody Jazz Café.

“KIND OF NEW”. Un soffio di New York e dintorni: una sbirciata nel buco della serratura della musica che si suona oltreconfine, intendendo con questa espressione non solo l’Italia ma, anche, l’Europa intera. Oppure, più semplicemente, “Kind Of New”, com’è il titolo del progetto-album firmato dall’attesissimo tastierista e compositore Jason Miles, in omaggio, come evidente nel titolo del lavoro, a quel “Kind Of Blue” targato Miles Davis che, nel 1959, diede una sonora spallata alla storia del jazz. Ma dal punto di vista strettamente musicale ad essere evocata è l’ombra del leggendario trombettista colta nel suo periodo più sperimentale, tra gli anni ’80 e ’90, durante le sue intense esperienze di fusione elettronica e jazz peraltro condivise dallo stesso Jason Miles, protagonista alle tastiere e al sintetizzatore di alcuni album nodali di quel preciso momento.

“IL VERY VERY VERY YOUNG, THEO CROKER”. Grandi suoni e grandi idee alle tastiere, ma anche grandi musicisti: gli altri quattro interpreti, infatti, non hanno fatto assolutamente pentire il pubblico foggiano di aver sfidato il gelo di una serata da -2 gradi. Su tutti, il “very, very, very young” Theo Croker, com’è stato presentato dal leader della formazione: un trombettista di trentatré anni dalla grande personalità scenica e dal forte carisma artistico, in grado di muoversi su più registri, prototipo del jazzista moderno ma capace di dare la sostanza giusta al momento giusto – esemplare, in tal senso, la sua performance in occasione del brano “Blue Paris”, suonato col sentimentale trasporto di un veterano dello strumento. Con lui, ha fatto cose egregie in un continuo gioco di rimandi e sovrapposizioni anche il sassofonista di origini colombiane Jay Rodriguez, esperto e versatile, instancabile in alcuni “solo” prolungati.

LA STRADA DI UNA BAND. Una menzione a parte, poi, per la cosiddetta sezione ritmica composta dal batterista Gene Lakee e dal bassista Reggie Washington. E in questo caso, valgono le parole del front-man Jason Miles, sempre generoso nel presentare brani e musicisti tra un pezzo e l’altro, in un costante dialogo con il pubblico: ”La strada di una band – ha detto durante il concerto – la dà la sezione ritmica”. Vero, verissimo, soprattutto nel tipo di smooth jazz proposto da questo quintetto fuori dall’ordinario, dove batteria e basso sono tutt’altro che accessori, anzi chiamati ad integrare groove elettrico e palpitazioni acustiche e a farlo in un continuo saliscendi percussivo, a tratti dirompente – in “Kat’s Eye”, asse portante dell’album che Jason Miles sta portando a spasso per il mondo, le “slappate” di Reggie Washington ricordano il miglior Marcus Miller, non a caso altro compagno di viaggio del tastierista e compositore americano.

LA FOGGIA NEWYORCHESE. Oltre un’ora da club newyorchese, insomma, di quelli che scopri dietro un’insegna senza pretese del Village, magari, aprendo una porticina nascosta e ritrovandoti in un interrato pieno di bella gente e di buona musica. Moderno, ricercato, versatile, con un piede sempre ben piantato dentro la tradizione che conta, che tradotto, nel caso in specie, vuol dire soprattutto Miles Davis: il finale del concerto, d’altronde, compreso il bis di chiusura chiamato a gran voce, è un omaggio fatto e finito al suo indimenticabile sound. E la Foggia newyorchese applaude, e ringrazia.

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