Gianmarco Saurino e Lino Guanciale incantano con “Flusso”, spettacolo da mare aperto
Sold-out annunciato al Teatro dei Limoni
“Call me Ishmael”. È uno degli incipit più famosi della storia della letteratura: “Chiamatemi Ismaele”, come fu tradotto da Cesare Pavese, il primo e il più illustre tra i tanti a renderlo per il pubblico italiano. “Moby Dick”, il capolavoro di Herman Melville. Ma cosa succede se al nome non corrisponde la persona? Se “io non sono il mio nome”?
SOLD-OUT. Succede che siamo nel flusso, anzi in “Flusso”, lo spettacolo scritto da Christian di Furia, vincitore della menzione Franco Quadri e del premio produzione all’edizione numero 56 del Premio Riccione per il Teatro 2021, al debutto nella sua città nei giorni 30 novembre e 1 dicembre. Un sold-out annunciato con un mese d’anticipo, anche grazie alla presenza di due attori di assoluto valore: Gianmarco Saurino e Lino Guanciale. Il primo, anche lui foggiano, cresciuto come attore proprio nello spazio di via Giardino e fresco vincitore del Nastro d’Argento 2024 con la fiction su Elisa Claps; il secondo altrettanto noto e affermato, più volte vincitore del Premio Ubu nonché regista proprio dello spettacolo andato in scena al Teatro dei Limoni (con video animazione tutt’altro che trascurabile a cura di Iole Cilento e Cristina Zanoboni).
LETTERATURA. Flusso, dunque. Come un liquido che scorre, andirivieni di sostanza vitale. Flusso come il flusso di coscienza che si fa in due, il bambino e l’uomo, il figlio e il padre, com’è il gioco di specchi di uno spettacolo da mare aperto, azzardando un sottotitolo, una raccomandazione allo spettatore che vi si imbatte. Complice la letteratura, al solito, pasto caldo per di Furia, è evidente, se dentro la cornice del grande romanzo uomo/natura ci finiscono altre due opere marinaresche, a ispirare, a guidare: “La linea d’ombra” di Joseph Conrad, che per mare è andato davvero e di riti di passaggio son pieni i suoi libri, e “La ballata del vecchio marinaio” di Samuel Taylor Coleridge, invece poema, invece allucinazione, se si vuole.
SAURINO E GUANCIALE. “Uno studio tratto dal testo”, si legge nel lancio dello spettacolo, tuttavia impreziosito dalle performance di due attori che abitano il palcoscenico con un affiatamento di rara bellezza, lasciando trapelare – fluire? – una qualità che non è (mai) solo tecnica. C’è cuore nell’interpretazione di Saurino e cuore in quella di Guanciale: piangono, ridono, insieme divertono, insieme commuovono. Il gioco è quello di scambiarsi senza sovrapporsi, tenere a bada l’ego in favore di una proposta di spettacolo che vuole essere universale, vuole dire la vita, la vita di tutti e sette miliardi quanti siamo su questa terra che gira con vivi e con morti – vuole dire anche i morti, a un tratto, lo spettacolo, non senza gustosa ironia.
FLUSSO. “Chi tiene la rotta, chi fa la direzione”. È una domanda? È un’affermazione? Se lo chiedono i due personaggi in scena – sono due o è solo uno per due? Perché c’è il bambino, c’è l’uomo, ma il bambino è anche l’uomo – il figlio e il padre, l’uno sarà l’altro, l’uno è stato l’altro. Ci sono i pensieri che transitano tutti insieme contemporaneamente, le case abitate durante una vita, quelle altrui frequentate per qualche anno, qualche giorno, qualche ora. I corridoi, tutti i singoli corridoi intrapresi che, se si potesse mapparli, sarebbero il labirinto di un’intera esistenza. Ma come si fa a contare tutto questo? Come si calcola? La domanda ricorda quella che Novecento – un altro marinaio – pronuncia prima di non scendere dal Virginian: “le strade, ce n'era a migliaia, come fate voi laggiù a sceglierne una?” La domanda, tanto per restare in tema, è insoluta. Alla lettera: “sostanza che non ha subito il processo di soluzione”. Oppure Flusso, che suona meglio.
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