Giordano in Jazz, un grandissimo: Brad Mehldau, piano solo
Il 4 dicembre al Teatro Giordano
Per intendere la sua musica non occorre una raffinata conoscenza jazzistica, basta prestare l’orecchio. Affidare l’ultima residuale forma di attenzione non ancora compromessa dal rumore degli smartphone alla volatilità delle dita di Brad, lasciando che “il pianista più influente degli ultimi vent’anni” (New York Times), faccia il resto. Un esempio? “And I Love Her” dei Beatles, brano da quattro note suonato dall’artista americano al Conservatorio di Torino il 26 maggio del 2016, disponibile ovunque. Uno spot che vale anche per mercoledì 4 dicembre, Teatro U. Giordano di Foggia, ore 21.
BRAD E IL PIANO. Dopo Bologna e Monopoli e prima di volare in Francia, proseguendo il suo tour europeo tra Germania e Inghilterra, Brad Mehldau passa per il capoluogo dauno, fresco di candidatura ai Grammy Awards per il suo ultimo lavoro, “Finding Gabriel”, evento “top” del Giordano in Jazz – Winter Edition, manifestazione organizzata dal Comune di Foggia in collaborazione con il Moody’s Jazz Club. Sul palco, soltanto lui e il pianoforte, in versione solo, come in moltissime altre occasioni che l’hanno visto protagonista, artista in grado di spaziare su più fronti, piegando il jazz a propria immagine e somiglianza, a seconda dell’ispirazione, dell’organico che lo accompagna, della composizione – l’ultimo disco, quello in odore di Grammy, è un’ulteriore conferma: dieci brani ispirati al Vecchio Testamento eseguiti ogni volta con un organico differente.
I MAESTRI E GLI SCONFINAMENTI. Thelonious Monk, Oscar Peterson e Bill Evans, da principio, restando in evocazione biblica. Ma anche John Coltrane e Miles Davis, due fiati, perché il jazz è un unico grande strumento, senza dimenticare i suoi maestri diretti, Fred Hersch e Kenny Werner. E poi Brahms, naturalmente. Il pianista di Hartford ha fatto sua questa tradizione, trovando una sintesi felice tra Afro ed Europa, ritmi percussivi e musica colta, scavando un solco importante sulla scena mondiale, talora divertendosi attraverso sconfinamenti tutt’altro che banali – i Beatles, appunto, ma anche i Radiohead, Paul Simon o Nick Drake. Senza dimenticare le composizioni per grandi registi in film tutt’altro che trascurabili: “Eyes Wide Shut” di Stanley Kubrick e “Million Dollar Hotel” di Wim Wenders, tanto per dire.
UN GRANDE CASTELLO SONORO. Da quel 1994 – quando si esibì anche a Pescara, neanche poi tanto lontano da qui – che lo vide in rampa di lancio grazie al sassofonista Joshua Redman, entrambi battezzati dal grande sapiente del jazz contemporaneo, Pat Metheny, con cui Mehldau ha inciso e suonato, è passata tanta acqua sotto i ponti della sua crescita artistica. Dischi, premi, concerti ovunque, sperimentazioni in vari ambiti sonori: un castello bianco e nero costruito soltanto con le dita, tassello dopo tassello, suono su suono, in grado di definire un musicista ormai nel pieno della sua maturità artistica, un tempo soltanto grande talento del jazz e oggi compositore dal respiro universale. Come in altre preziose occasioni – vedi Chick Corea, novembre 2017 – il pubblico di Foggia ha un’altra grande occasione per restare in silenzio e lasciar parlare la musica (info biglietti: circuito vivaticket).
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