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Ai foggiani piace il jazz (e al jazz, piacciono i foggiani)

A 30 anni dalla leggendaria esibizione di Chet Baker a Foggia, con Giordano in Jazz la città ritrova la sua tradizione

Trent’anni. Tanto misura il ponte che proprio ieri sera, con l’ultima nota suonata in quel di Piazza C. Battisti, ha (ri)unito nuovamente la grande tradizione jazzistica di Foggia a questa nuova, interessantissima pagina di storia presente e futura che trova felice sintesi nella denominazione di “Giordano in Jazz”.

QUELLA SERA IN CUI SUONO’ CHET BAKER. In quel 1985 la Taverna del Gufo e l’allora Foggia Jazz Festival davano gli ultimi, grandi colpi: esattamente il 14 settembre di quell’anno infatti, in Corso Giannone, suonava il più grande trombettista bianco della storia del jazz, Chet Baker – forse, con Dizzy Gillespie, il più grande e basta. Un concerto (almeno per Foggia) epocale il cui ricordo, in questi anni di intermittente oblio musicale e culturale (soprattutto in senso jazzistico), ha finito per assopirsi nelle coltri di un sogno a occhi aperti valido solo per quella piccola parte di pubblico che, con rammarico, aveva persino smarrito la voglia di riportarlo a galla – trascorsa ogni età dell’oro, l’ombra che s’allunga è sempre insopportabile. La rassegna 2015 però, non più Foggia Jazz Festival, ma Giordano in Jazz, ha avuto il gran merito di ridare a Foggia quel che di Foggia: il jazz internazionale ha ritrovato una via, anzi una vera e propria piazza, e qui ha riabbracciato un pubblico che, ancora una volta, si è dimostrato all’altezza della situazione.

I FOGGIANI AMANO IL JAZZ. Già, il pubblico. Pronto, capace, competente – verrebbe da dire “abituato”, ma i numeri non confermerebbero. Attento e protagonista anche alle prese con sonorità non facili, come quelle prodotte dall’ensemble di Antonio Sanchez nella serata di mercoledì 15 luglio, l’ultima della rassegna organizzata dall’Amministrazione comunale in collaborazione con il Moody Jazz. Una corrente ininterrotta di musica, un fluido di “contemporary”, oltre 60 minuti di attualità internazionale con l’aggiunta, dopo l’unica pausa, di un bis finale, assecondando l’invocazione del pubblico di Piazza C. Battisti, addirittura in piedi per l’omaggio al grande batterista messicano. Sonorità talvolta sperimentali, dissonanti, aspre oppure lanciatissime, come i “solo” sfrenati di Sanchez (chi dice che sia solo grande tecnica è perché non ha cuore), o gli “intro” del sassofonista Seamus Blake, in un’occasione a tu per tu col pubblico, senza accompagnamento degli altri membri del “Migration Quartet” e, ciononostante, accolto con concentrazione e silenzio dai tanti foggiani divisi tra platea a sedere e posti in piedi.

LA CULTURA COME “SMACCO” DA PARTE DI LANDELLA E SOCI. Antonio Sanchez dunque, più il soul alla Stevie Wonder di Jarrod Lawson, più le trascendenze scuola Coltrane di Kenny Garrett, altro super big mondiale: questo è stato “Giordano in Jazz”, la rassegna che ha fatto far pace Foggia e il suo pubblico con una tradizione del cui basto cominciava a soffrirne, insopportabile, il peso. La prima edizione di una kermesse che chiude, vero, ma che, al pari dei migliori festival, già rilancia, come nelle parole del dirigente comunale – e grande appassionato di jazz – Carlo Dicesare (VIDEO): “Torneremo con questa veste anche in inverno”. Un sodalizio tra pubblico (l’Assessorato alla Cultura) e privato (il Moody Jazz di Nino Antonacci) che, a conti fatti, è la cifra dello smacco rifilato agli scettici – e non solo – che va riconosciuta all’amministrazione guidata dal sindaco Franco Landella, almeno per quanto riguarda il settore culturale: un salto di qualità incontestabile tra il “tutto in una notte” targato Fausto Leali dello scorso agosto e l’attuale, accurata programmazione estiva, Renzo Arbore compreso (senza dimenticare la riapertura e gli ottimi spettacoli offerti dal Teatro Giordano nella stagione 2014/2015).
  • Kenny Garrett, live da Piazza C. Battisti, Giordano in Jazz

  • Antonio Sanchez, Migration Quartet

di Alessandro Galano


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