Iris, che voleva essere cielo: il “non-romanzo” di Ilaria Palomba, a Foggia
Doppio incontro con l’autrice di “Vuoto”
Se l'unica cosa che conta è il fascino, come si legge nel libro con tanto di punto fermo dopo ogni parola – “Solo. Il. Fascino.” – allora ci siamo. Il fascino della scrittura, anzitutto. Ma anche il fascino del vuoto, ricalcando il titolo stesso del libro di Ilaria Palomba, protagonista di un doppio appuntamento foggiano mercoledì 27 settembre: ore 18 al Museo di Storia Naturale di Viale Di Vittorio (per la rassegna Fuori gli Autori, che ricomincia) e ore 20 al locale WiFo di Via Grecia 36 (e anche qui si riprende con gli aperitivi letterari a cura di Mimmo Cicolella).
NON-ROMANZO NOVECENTESCO. Scrittura, s’è detto. Vuoto, ma anche morte, il suo fascino: punto fermo – ancora una volta – di una narrazione che è incarnazione quasi materica della sua protagonista. Cioè Iris, che poi sarebbe Ilaria. Già, perché questo romanzo è un non-romanzo in pieno spirito novecentesco: i personaggi attraversano ponti al crepuscolo mentre l’Urlo di Munch fa loro il verso, inchiodandoli a metà strada, tra una sponda e l’altra. Di qua la resurrezione dell’anima costantemente rimandata, di là l’estinzione della ragione costantemente invocata: vita o quello che dicono che sia, morte o quello che si spera possa essere.
“FEROCE DESIDERIO DI STRARIPARE”. Iris è su quel ponte. Con lei c’è Federico, neo marito che la “recupera” in psichiatria dopo avercela mandata; c’è suo padre dagli “occhi scuri, incavati e dostoevskiani”, amato come uomo e odiato come medico; c’è Giulio, il miglior amico poeta che brucia tutti sul tempo. Perché questo è “Vuoto”, di questo si parla in “Vuoto”. Di “una qualunque depressa”, riprendendo le parole di un agente letterario che snobba Iris scrittrice, tuttavia animata da un “feroce desiderio di straripare, diventare cielo”, riprendendo Iris che scava a proposito di Iris stessa – la vera trama del libro.
IL VUOTO DEL MONDO. E dunque? E dunque di incompiuti e incompiutezze narra – s’è detto: il Novecento. Di una coppia che implode, di un progetto letterario che stenta, di una “suicidata” condannata dal suo stesso karma – Iris è buddista – a rivivere in questa e nelle prossime vite i suoi stessi tentativi di suicidio, smaccata da un mondo circostante – personaggi compresi – che invece si suicida con successo, lasciandola al palo – “arance i tuoi capelli e intorno il vuoto del mondo”, principiava Paul Éluard.
SCRITTURA IN “CRISI”. Il suo è un tentativo a vuoto – per l’appunto – estremamente affascinante in cui la struttura della composizione ha un ruolo fondamentale: la scelta di procedere per frammenti – ancora quel secolo schizoide – dissolve il tempo della storia, lo piega alla scrittura, al ritmo dell’impressione, tirando giù il lettore in questo gioco maliardo – che qualcuno ha giustamente scritto “al massacro” – che è il romanzo stesso. Eccessivo talora, oltranzistico a tratti. Tuttavia veridico, autentico, estremo, in cui le parole sono indizi di un’anima in crisi – dal greco antico κρίσις: “discernimento, separazione, punto di svolta”.
DUE PIU’ DUE FA CINQUE. Les Flâneurs, in definitiva, pubblica un libro in cui due più due fa provocatoriamente cinque, discostandosi e molto dal mainstream nazionale del “ragazzo-incontra-ragazza” tanto caro a Salinger (il problema naturalmente non è Salinger, ma che non tutti sono Salinger), mettendo il lettore davanti a un bivio in cui si diramano sacrilegio e sortilegio. Insomma, alle prese con una scrittrice che fa la scrittrice, l’editore a sua volta fa l’editore. Rarità interessanti, di 'sti tempi.
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