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I “Mondiali senza gloria” del ’34 e del ’38, tra politica e calcio al via il Foggia Festival Sport Story

L’autore e giornalista Giovanni Mari

Corruzione, arbitri comprati, censura, ingerenze, minacce, violenza: un’inchiesta storico-sportiva che racconta sotto tutt’altra luce i mondiali organizzati e vinti in Italia nel 1934 e il bis francese del 1938, quando gli azzurri scesero in campo in camicia nera. È “Mondiali senza gloria” (People, 2022), il libro del giornalista e scrittore Giovanni Mari, ospite inaugurale della VII edizione del Foggia Festival Sport Story, in programma venerdì 2 dicembre alle ore 18 nella Sala Narrativa della Biblioteca “La Magna Capitana” di Foggia.

L’EVENTO INAUGURALE. La rassegna, organizzata da Fondazione Monti Uniti, Ubik, Biblioteca e Piccola Compagnia Impertinente, torna a raccontare lo sport e le sue dinamiche attraverso le arti, tra letteratura, inchiesta, teatro ed estemporanee. Ad anticipare la prima presentazione della kermesse (ore 17.45) – che avrà luogo dal 2 al 15 dicembre e che avrà tra gli ospiti anche Zdenek Zeman – sarà la donazione libraria da parte del presidente della Fondazione, Aldo Ligustro, al Fondo speciale di letteratura sportiva della biblioteca. Ogni incontro sarà anticipato dalle incursioni teatrali degli attori della Piccola Compagnia, ispirate al libro protagonista della serata. Conversa con Giovanni Mari, il giornalista Antonio Di Donna.

CENSURA E PROPAGANDA. “I successi del 1934 e del 1938 racchiudono per intero il volto mendace, prevaricatore e imbonitore di un regime, quello fascista – si legge nel libro – che al tempo aveva già azzerato il dissenso a colpi di uccisioni, pestaggi e ricatti e che si stava apprestando a far scempio dell’Europa insieme all’indicibile alleato nazista”. Per Giovanni Mari, infatti, Mussolini “usò i Mondiali di calcio per convincere il popolo della sua supremazia”. Come? Attraverso censura e propaganda, anzitutto. Mediante una narrazione “guidata”, per così dire, una “pressione sulla stampa” che lo stesso autore definisce “una costante. Oggi gruppi finanziari e potentati politici – aggiunge Giovanni Mari – costruiscono una loro comunicazione disintermediata per raccontare una realtà diversa in cui cercano di incanalare opinioni pubbliche e redazioni per puntellare il loro consenso e per coprire le loro distorsioni. Figurarsi se c'è in ballo un Mondiale”.

“LO SPORT E’ CONSENSO”. Dall’organizzazione del Mondiale casalingo del ’34 poi, leggendo delle ingerenze e corruttele messe in atto da Mussolini per aggiudicarsela e per vincere, sembra venir fuori l’inizio di una “tradizione”: quella di collocare uomini politicamente “amici” ai vertici istituzionali dello sport. Una pratica che per Mari non è affatto in disuso perché, come dice, “lo sport è consenso e nel calcio vale ancor di più. Chi controlla lo sport sposta voti, crea clientele e parla ai giovani. I dittatori lo hanno sempre occupato, in democrazia l'assessore allo sport è la carica più ambita. Lo sport nasconde il resto della realtà e i politici ne vanno matti”.

L’AMBIGUO VITTORIO POZZO. Eppure, riprendendo le parole di Vittorio Pozzo, commissario tecnico delle due nazionali italiane vincitrici nel ’34 e nel ’38, nel calcio non ci doveva essere posto per la politica. Una frase che suona bene ma che, ai fatti, non fu mai messa in pratica da quello che l’autore del libro definisce “un grande maestro di sport, ma anche un uomo che ha parlato troppo poco. Mai da lui una sola critica alla dittatura – aggiunge Giovanni Mari – mai un'analisi, neppure dopo la Liberazione, sull'ingerenza di Mussolini. Sempre sull'attenti quando c'era da fare il saluto fascista. Nelle sue memorie il fascismo è semplicemente rimosso”.

L’ITALIA IN CAMICIA NERA. Tra le cose più dure da digerire c’è sicuramente l’Italia in camicia nera, squadrista, in segno di sfida contro il mondo, a pochi giorni dall’inizio della Seconda Guerra Mondiale per mano dell’alleato nazista. Nel libro si racconta di un telegramma che con ogni probabilità sarebbe arrivato ai calciatori italiani prima della finalissima del 1938, in Francia, contro uno stadio – e una nazione, con tanti esuli italiani – ostile alla dittatura di Mussolini. “Vincere o morire”, avrebbe detto il Duce a Colaussi e compagni. Ma avrebbero rischiato davvero la vita? “Non rischiavano di morire – spiega il giornalista – ma lo pensavano davvero perché Pozzo li aveva caricati in questo senso. Aveva detto loro che dovevamo vincere per l'Italia e per Mussolini. Che in gioco c'era la storia del Paese. I calciatori ebbero realmente paura e la notizia dilagò. Mussolini – conclude Mari – aveva bisogno che l'Italia vincesse, a ogni costo, per realizzare il suo progetto di propaganda. Nel frattempo, stava decidendo di attuare anche in Italia le leggi razziali naziste”.

di Alessandro Galano


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