Dalla 'comunella' ai 'zingriamint': il pianerottolo di una volta... LA RUBRICA
Il racconto a cura di Salvatore Aiezza
Alzino la mano quanti di voi conoscono, sia pure superficialmente, i propri dirimpettai e con quanti condomini scambiano qualche parola al di là di un convenevole saluto.
Chi sarebbe disposto, oggi, a lasciare in custodia al suo vicino di casa la propria abitazione e come sarà la vita dei dirimpettai?
Tendiamo sempre più a isolarci nel nostro mondo; il tempo non è mai abbastanza e le relazioni pubbliche sono decisamente poche. Ma un tempo? Una volta era esattamente il contrario: il “Pianerottolo”, vale a dire quella porzione di piano sul quale si aprono le porte dei vari appartamenti era un luogo comune a tutti. Una sorta di corridoio. Le famiglie erano unite, si conoscevano tra di loro, condividevanoo gioie e dolori; le porte, spesso lasciate aperte lasciavano inebriare tutto il condominio di odori e profumi. Tra le tante tradizioni, quelle più belle si vivevano proprio in questo periodo natalizio e culminavano, come vedremo, la sera della vigilia, in una vera e propria atmosfera festiva della quale oggi, forse, si è perso il sapore.
Buona lettura da Salvatore Aiezza. (foto: manganofoggia.it)
LA COMUNELLA. Il pianerottolo, più che un disimpegno, era in realtà una “camera” aggiunta, comune alle famiglie che abitavano un determinato piano, dove si svolgevano le c.d. “comunelle”, vale a dire gli incontri tra le donne (ma anche a volte tra gli uomini) le cui porte di casa si affacciavano sul piano. In pratica una specie di corridoio che univa tutti gli appartamenti. La “comunella” era, a volte, allargata alle donne dei piani superiori: o per interesse comune dell’argomento trattato, o per semplice curiosità. In alcuni casi questo chiacchiericcio tra le donne, diventava un vero e proprio “zingriamint”, cioè qualcosa di più di un semplice scambio di idee su una determinata persona. Io lo definirei così: un pettegolezzo approfondito… con addebito di un fatto specifico.
La “comunella” aveva inizio verso l’ora di pranzo, o nel pomeriggio; a volte, specie l’estate, quando la “riunione” si spostava fuori ai balconi, a causa del caldo, essa poteva avere inizio anche all’imbrunire, ma con due varianti: occorreva sporgersi dal balcone dei piani superiori per partecipare al “dibattito” con le signore dei piani sottostanti e bisognava parlare a voce più alta per farsi sentire anche da quelli che si affacciavano sui balconi adiacenti. Nel discorso poteva capitare però che si inserisse anche la famosa “vecchietta” del piano terra (prima a Foggia i piani terra erano quasi tutti adibiti ad abitazioni e molti, sotto casa mia succedeva, la sera diventavano anche garage) che veniva zittita con una frase che più ipocrita non poteva essere “fatt i fatta tuij, sempmizzstaj…”
LE NOTIZIE. A volte c’erano “comunelle straordinarie”, quando si doveva dare una notizia particolare o arrivava qualche venditore ambulante.
Il motivo, che dava lo spunto per incontrarsi, poteva essere il più vario. Quello classico e un po’ banale era di andare a chiedere in prestito qualcosa che il più delle volte non era affatto necessario. Di solito, però, l’incontro sul pianerottolo era legato a questioni di cucina. Non bisogna infatti dimenticare che all’epoca vigeva la bellissima usanza, tra gli abitanti del pianerottolo, di scambiarsi le pietanze che le nostre mamme cucinavano.
La procedura era la seguente: 1) Chi aveva già finito di cucinare, preparava la “mappitella” cioè un piatto con l’assaggio, destinata alla signora frontista di casa, o con la quale c’era più amicizia. 2) La nostra dirimpettaia, senza che nemmeno, a volte, bussassimo, perché aveva sentito aprire la nostra porta (potenza delle orecchie di una volta!), apriva la sua e allungava le braccia come se già sapesse quello che dovevamo fare. 3) Subito dopo aver ritirato la “mappitella” la nostra conpianerottolaia ci dava il suo piattino con quello che aveva preparato per noi. Insomma uno scambio alla pari. 4) Una delle due “commare” avviava il discorso solitamente con una di queste due frasi: “hhhm! E sntut che addor che ven da Signora ( e seguiva il nome dell’interessata) chissà che avrà cucnat?”, oppure: “oggnzsentmancna’ddor, n’avrà cucnat a sgnora…( seguiva il nome dell’interessata) 5) Nel secondo caso iniziava subito una sfilza di possibili cause per le quali l’indiziata non avesse cucinato. Esse erano di solito indicate nelle seguenti: a) poteva essere successo qualcosa a qualcuno di famiglia, nel qual caso si decideva che uno di loro andasse a bussare a casa dell’interessata per vedere o sapere cosa fosse successo; b) c’era stata una lite in famiglia per cui la moglie non aveva cucinato. In tal caso qualcuna delle “commari-pianerottolaie” subito si ricordava ( a torto o a ragione) che in effetti la sera prima aveva sentito un litigio provenire dall’appartamento. (era l’inizio del “zingriamento”). La “querelle” aveva fine quando la signora di cui si parlava usciva anch’essa, avendo sentito le voci, sul pianerottolo, o scendeva da quello soprastante e, quasi come avesse percepito che si parlava di lei, si affrettava a precisare: “u vi’, oggj nnagghihcucnat ancor, e quillTonin ( il fruttivendolo di cui abbiamo parlato all’inizio e che aveva sempre una parte di colpa..) nn ma’ purtat i cos che avevditt”. E così si andava avanti nei vari discorsi che toccavano un po’ tutti gli aspetti e, soprattutto, i vari inquilini del palazzo, dal piano terra (la vecchietta solita fastidiosa che rimproverava i bambini che facevano rumore col pallone vicino alle serrande), alla signora dell’ultimo piano che disdegnava il saluto o era restia a parlare e trattenersi talvolta con loro; la qual cosa era spesso addebitata dalle altre donne del palazzo ad un particolare lavoro del marito, per es: “Ehj! Fcaccussij e s cred d’ess, sul pcchè umaritfatic o trbunl “ oppure a chissà quali cose sospette….
Quandocominciavano a tornare i figli da scuola il pianerottolo si movimentava ulteriormente. Infatti i bambini “lanciate” le cartelle sulla immancabile panca contenente il corredo, (mai usato!...e tramandato da sette generazioni, che solo una “fortunata” figlia femmina aveva potuto vedere e ascoltare dalla mamma la solenne frase: “a morte mia te lo prendi ma, mi raccomando, non lo usare che si rovina!!!” ) si riunivano in uno degli appartamenti, le cui porte venivano lasciate aperte mentre ci si tratteneva sul pianerottolo e cominciavano a giocare. Era questo il momento nel quale si decideva di porre fine alla chiacchierata e far rientro nelle proprie case per finire di cucinare ( di solito si doveva mettere sul fuoco l’acqua per la pasta)... Se poi capitava che uno dei coabitanti del pianerottolo avesse preparato per cena qualcosa di particolare: per es. la pizza o una torta e simili, vigeva l’obbligo! (ma era davvero un grande piacere per tutti, ci si sentiva davvero soddisfatti) di farla assaggiare anche alle altre famiglie dello stesso piano.
Nel periodo immediatamente antecedente i giorni di festa o quelli di una particolare ricorrenza il pianerottolo diventava un vero e proprio crocevia e andirivieni di massaie ( nonne e mamme) che come una comunità di mutuo soccorso, si scambiavano tra di loro ingredienti, consigli, assaggi di tutto ciò che si preparava. A ben vedere le cose erano sempre le stesse in tutte le case (cartellate, pizza fritte e gli altri dolci tipici a natale, la squarcella a pasqua, il grano cotto ai morti), ma in ciascuna di esse giacevano in bella mostra, sul tavolo di marmo della camera da pranzo (attualmente chiamasi salone), dove c’era il divieto assoluto di entrare, anche per il pericolo serio di scivolare sui pavimenti marmorei tirati a lucido e “a specchio”, i vari piatti contenenti le varietà di dolci e salati preparati dai vicini di casa. Vi lascio immaginare i giudizi su quali fossero più buoni. Naturalmente la vicina che ci stava più simpatica, vinceva sempre!
IL GRANO COTTO. Approssimandosi il periodo della festa dei morti c’era e, per fortuna in molte case resiste ancora l’usanza di preparare il grano cotto. Una pietanza a base di grano, lessato, sul quale si spande cioccolato fondente tritato, melograno, noci sminuzzate e l’immancabile vin cotto. Su questi ingredienti fior di generazioni di donne hanno a volte troncato drasticamente anni di amicizie. Si deve sapere, infatti, che durante il consueto e sopra descritto scambio di questi piatti tra le donne dell’oramai famoso pianerottolo, si elencavano gli ingredienti utilizzati e ciascuna difendeva ostinatamente, sino alla rottura che poteva durare da giorni a mesi, la propria ricetta. Insomma c’era materia di ampia discussione. Ma dove non si transigeva era sul vin cotto! Mai vin cotto di fichi o altro genere vietatissimo. Puro vin cotto di vino rosso. E ricordo ancora le corse nelle campagne circostanti che i nostri genitori facevano (molti lo fanno ancora) per accaparrarsi le poche scorte di “vero” Vin Cotto. Mai una nostra nonna avrebbe usato il vin cotto che si vende oggi al supermercato. Piuttosto niente grano cotto!
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