Tra tango e Soriano, va in scena il Mondiale della Patagonia: "magia india" con pallone di cuoio
Lo spettacolo con Pierluigi Bevilacqua e Gianni Iorio
“Perché tutto passa, Osvaldo, ma non i desideri che abbiamo avuto”. In una frase, tutta la poesia, la malinconia, la caducità di un continente che non è solo un continente. Piuttosto: un modo di sentire, di narrare. Uno stato d’animo.
VISIONARIO. Il Sudamerica più visionario in “Quando la vita era piena di goal”, spettacolo andato in scena il 7 dicembre al Teatro del Fuoco, prodotto da Fondazione Monti Uniti e Piccola Compagnia Impertinente e rappresentato all’interno del Foggia Festival Sport Story che, anche in questa VII edizione, fa del teatro un punto di forza della rassegna. Sul palcoscenico, l’attore e regista Pierluigi Bevilacqua, direttore artistico della compagnia teatrale foggiana nonché tra gli organizzatori della kermesse, e il bandoneonista Gianni Iorio, uno dei maggiori interpreti nazionali dello strumento caro al grande Astor Piazzolla.
TRA TANGO E SORIANO. Tanghi e milonghe argentine, dunque, quale preziosa testura in grado di esaltare lo sfavillio di storie che ruotano attorno alla fantomatica Coppa del Mondo del 1942 al centro del testo di Fabio Stassi, finissimo autore viterbese che ha tratto dal suo romanzo “È finito il nostro carnevale” (Minimum fax) la linfa giusta per questo monologo sul pallone. Personaggio e “seconda voce” d’eccezione, proprio quell’Osvaldo Soriano di cui sopra, scrittore strepitoso e attaccante pentito – con una pallonata uccise un cane e smise di giocare, almeno così raccontava – che si è inventato il “Mundial dimenticato”, teatro di strampalate partite tra affamati esuli italiani, indios aiutati dai loro dei e ingegneri tedeschi con l’elmetto.
LA TRADIZIONE ARGENTINA. In un’atmosfera da osteria ai confini del mondo, tracannando bicchierini di vino “tinto”, Bevilacqua si fa credibilissimo interprete di una tradizione letteraria fantastica che ha in Buenos Aires e dintorni il proprio cuore pulsante. Lo spettacolo non è solo un omaggio al Soriano cantatore di portieri invincibili e partite mai giocate, ma anche a Borges, Còrtazar, Ocampo, Fernandez, Sabato e tanti altri mirabili inventori di una tradizione apparentemente immortale. Un modo di narrare unico, credibile ed eccessivo in uno, in cui l’incanto è tutto nella voce.
UNA MAGIA INDIA. La finalissima che si gioca tra i Mapuches della Patagonia che restano in uno contro undici e i crucchi nazisti, ansiosi di incidere la svastica anche in quell’altra metà del mondo, è una rivincita delle rivincite. Una magia india con pallone di cuoio, una di quelle missioni impossibili che solo i grandi vinti sono in grado di suscitare. L’esito è scontato, ma non la resa: la coppa Rimet è lì, d’altronde, pronta per essere rubata, anche perché “dentro” di lei c’è l’unica donna che il protagonista abbia mai amato. Ma questa è solo un’altra, straordinaria storia sudamericana…
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