Stampa questa pagina

Moody Jazz 10 e lode, anzi 11: il bilancio di Nino Antonacci

Dieci anni di attività ufficiale, intervista al direttore artistico del club di Foggia

Dagli artisti che hanno lasciato il segno al pubblico foggiano che è passato nel corso di questi 11 anni di concerti ed eventi legati al mondo della musica e, in modo particolare, del jazz. E ancora, le istituzioni, i rammarichi e i momenti più belli, la cultura a Foggia e le aspettative future. Nino Antonacci, anima e corpo del Moody Jazz di via Nedo Nadi, traccia un bilancio della sua attività in un'intervista appassionata.
Il Moody compie dieci anni di musica, diciamo anche undici se si considera il numero zero della prima serie di concerti. Qual è il bilancio di questa stagione e quale, dopo questa prima decade?
Potrei anche mentirti dato che il reato di falso in bilancio non è ancora legge ma mi impegnerebbe di più. Il bilancio sentimentale è assolutamente positivo. Ho accumulato una serie infinita di emozioni, che fino a pochi anni prima dell’inizio di questa avventura erano rinchiuse solo nei miei sogni che, con la stessa meraviglia che provo adesso, si sono avverati. Tanti visi presi e persi in questa strada lunga 11 anni tra chi sul palco ci è salito, ci è stato di fronte e chi ci ha lavorato dietro. Tanti sacrifici economici e impegno, molte soddisfazioni, piccoli dolori e delusioni, per lo più umane. Quando cominciai vedevo il mondo della musica come un’oasi nel deserto dei nostri tempi, ma più mi avvicinavo e più mi rendevo conto dell’ennesimo miraggio. Ho anche cercato di unire i cosiddetti musicisti locali in qualcosa che potesse far uscire la loro arte dal labirinto di questa città, ma non ha funzionato.
Come mai questo?
C’è troppa vanità e ci si ritrova sempre al punto di partenza. La musica, l’arte in genere dovrebbe essere al centro, niente e nessun altro. Siamo riusciti in questi anni (e il plurale comprende la squadra del Moody, il pubblico e qualche giornalista più illuminato) a scrivere il nome di questa città anche sulle pagine della cultura e non solo su quelle della cronaca nera. Questo decimo anno ufficiale (undicesimo ufficiosamente) ha davvero rappresentato la varietà della proposta musicale che il Moody vuole portare dentro e fuori dai suoi locali. Nessuna etichetta di genere ma un’unica condizione: l’alta qualità musicale. Anche questa 10° edizione è stata una rassegna che, se fosse stata concentrata in pochi giorni, sarebbe diventata un prestigioso Festival musicale con nomi come: Bill Evans, Robert Glasper, Buster Williams, Frank McComb, Kenny Werner, Francesco Cafiso, Larry Willis, Mario Venuti, Paul Warren, Leroy Emmanuel, Fernando Saunders e Joyce Yuille, solo per farne alcuni.
Nino Antonacci è mente e braccia di questo importante lavoro svolto, come si legge “senza alcun contributo pubblico ma con il solo contributo del pubblico”. Ecco, proprio il pubblico del Moody, com'è cambiato nel corso di questi dieci anni?
In generale il pubblico è colui che ormai può decidere le sorti di un evento, soprattutto ora che soldi pubblici ce ne sono sempre meno. A noi non è cambiato nulla perché non ne abbiamo mai richiesti, ma ci sono molte attività che da quando le amministrazioni pubbliche hanno chiuso i rubinetti sono assetate e alcune già morte. Il pubblico si crea e si fidelizza con l’onestà e con il rispetto. La nostra è, in fin dei conti, una semplice colletta. Diventa sempre più complicato trovare persone disposte a pagare un prezzo per un prodotto che né si ingerisce né ha WhatsApp. In particolare, il pubblico del Moody è fantastico, si è affinato ogni anno di più in qualità, tanto da essere ormai popolare quanto il locale tra gli operatori del settore. La cosa che gratifica maggiormente è che, da alcuni anni, la maggior parte si abbona senza neanche sapere la programmazione. Si è creato un gran bel rapporto di fiducia (e con molti di amicizia) che mi impegno a non deludere mantenendo alta la proposta musicale. Tuttavia, dopo tanti anni di pessime torture mediatiche a livello globale, c’è stato un vero appiattimento della richiesta culturale e di conseguenza dell’offerta. Manca sempre di più il senso della curiosità che scaraventa la maggior parte delle persone nell’ascoltare il “già conosciuto”, in alienanti tentativi di imitazione. E’ un percorso pericoloso che porta alla decrescita intellettuale. La crescente epidemia delle tribute band è uno degli effetti. Dieci anni di concerti con i più importanti jazzisti in circolazione, italiani e stranieri.
C'è un artista, o un concerto, che ti ha lasciato qualcosina in più degli altri?
Come si può immaginare ce ne sono tanti, ma il primo che mi viene in mente è sicuramente quello di Diane Schuur. E’ stato un concerto che ancor oggi mi fa venire la pelle d’oca. Era il novembre del 2009 e proprio colei che mi aveva regalato fortissime emozioni, in tempi in cui pensare di poter organizzare concerti nella vita era un’idea lontana come Plutone, era lì davanti a me, a casa mia. La sua dolcezza, ancor più toccante nella risposta alla sua disabilità (Diane è non vedente), ha profuso emozioni a tutti i fortunati presenti. Quel giorno le dissi che una sua canzone aveva segnato una parte della mia vita e lei rispose che quel brano lo scrisse per un suo amore e che, per chissà quale segno del destino, proprio quel giorno era il suo compleanno, quindi l’avrebbe eseguito pur non avendolo mai provato con i musicisti. Non riesco a spiegarvi cosa ho provato ma posso provare a farvi vivere qualche emozione con un’altra canzone di quel meraviglioso concerto https://www.youtube.com/watch?v=QFyYT1Rt4Yw
Sarebbe bello portare il Moody anche fuori dal Moody, magari in centro, all'aperto, raddoppiando, forse triplicando la cornice di pubblico e offrendo un ampio spettacolo a tutta la città, concertando un lavoro preciso anche con le istituzioni. Ma...?
Non è così difficile portare i musicisti all’aperto quanto complicato portare quella purezza che c’è nel Moody, quella purezza e coerenza che ad alcuni non piace. In realtà io sono un sostenitore dei club, è lì che è nata la musica e posti come questi sono i baluardi dell’arte nei momenti bui come quello in cui viviamo. In questa città c’è abbastanza puzza sotto il naso da evitare di accettare il contenuto se il contenitore non ha delle fattezze modaiole. E questo vale sia per i radical-chic che per i nuovi finti yuppies. Ormai sono le stesse persone che si vestono in maniera diversa, i primi hanno una sciarpa anche d’estate e gli altri la cravatta inserita nella pelle, i primi ostentano intellettualità e birra Peroni, gli altri orologi e champagne. Ma la Samsung ha messo tutti d’accordo consacrando il loro Patto del Nazareno. Se si va a New York o a Parigi, anche in club peggiori del nostro, allora lo racconti al mondo e sei “ok” ma a Foggia bisognava aspettare che il Giordano riaprisse per rianimare questa voglia di cultura (parola che non amo e da sempre abusata) cittadina.
Il Moody ha sempre lavorato, anche senza il Giordano...
In questi anni di chiusura del teatro principale, il Moody e tante altre realtà come Assaggi di Musica, il Cerchio di Gesso, il Teatro dei Limoni, il Foto Cine Club, i vari teatri in vernacolo o amatoriali, il Groove, gli Amici della Musica, e altri operatori culturali grandi e piccoli che mi perdoneranno per la dimenticanza, hanno continuato le loro attività culturali in luoghi anche meno belli del Teatro Giordano mantenendo però, con grande impegno, una qualità e una quantità di proposte che in altre città non esiste. La città non è stata affatto carente di nessun tipo d’arte. È su queste basi, che affermo due cose in controtendenza e che sostengo da sempre: in città c’è più offerta culturale/artistica che domanda; parecchi spettatori vorrebbero le luci della ribalta più rivolte su se stessi che sugli artisti. Dunque lunga vita ai luoghi e alle persone che propongono, nella varie forme artistiche, cultura con impegno e sincerità. Più pertinentemente alla domanda rispondo che: molti sanno che non ho mai chiesto niente alle istituzioni, sono stato sempre libero e indipendente. Sono sempre stato un po’ riluttante ad esse, non mi piacciono le logiche spesso marce dei palazzi, se le seguissi, poi non dovrei lamentarmi. Non lo faccio per partito preso ma proprio per non essere preso da nessun partito. Ammetto che c’è stato un contatto da parte di un dirigente comunale, per la prima volta. La cosa sarà possibile se le premesse di trasparenza e qualità verranno rispettate. Forse sarà “buona la prima” chissà! In fin dei conti per riverniciare a fresco una casa, bisogna entrarci per forza dentro. Ora lancio una proposta. Sarebbe bello se coloro che ci amministrano facciano a meno dei privilegi da essi stessi costituiti e paghino indistintamente il biglietto, di qualsiasi spettacolo, da comuni cittadini quali sono, senza posti in prima fila ma partendo dal via tutti insieme. Sarebbe un bel gesto sedersi davvero in mezzo al popolo e non più solo davanti. Ne dubito, ma ci spero sempre e che la musica ce la mandi buona! Pace. Nino

di Alessandro Galano


 COMMENTI
  • Alfredo lo faro

    22/05/2015 ore 08:44:17

    Grande Nino. Amato e rispettato dal mondo degli artisti e management. Se ogni città italiana avesse un Nino oggi potremmo ancora essere capitale della cultura mondiale.
  •  reload