Suzanne Vega: poesia, folk e una voce da ninfa...peccato per quel rumore di fondo
La cantautrice, con Gerry Leonard, primo di due live del Giordano in Jazz
Suzanne Vega danza sulle nuvole con passi di piuma, la voce illibata e un cilindro in testa – senza trucchi, giacché non ne ha bisogno. Intorno però, non tutto è all’altezza. Sono le due facce di uno stesso concerto che qualcuno avrebbe voluto portarsi dietro per sempre, reliquia luccicante di generazioni trascorse – si pensi ai nati negli anni ’60 e ’70, tanto per dire – salvo invece accontentarsi di una resa che avrebbe avuto esito migliore in un’altra location – o con un’organizzazione differente.
VOCE E CHITARRA, IN PIAZZA. Che la premessa non inganni: portare Suzanne Vega e Gerry Leonard in città, in qualsiasi città, non è cosa da poco e la prima di due serate del Giordano in Jazz – Summer Edition 2018, andata in scena ieri, venerdì 13 luglio, resta nella storia positiva di Foggia e dell’odierna Amministrazione. Qualche giorno prima, lo stesso duo di straordinari interpreti – nelle poche tappe italiane del tour, altro merito da annoverare – ha riempito l’auditorium Largo Mahler di Milano, ipnotizzando il pubblico con appena due chitarre (talora una) e una sola voce in scena, per quanto meravigliosa e ancora letteralmente intatta rispetto agli anni di carriera. Ma, appunto, in un auditorium: un ambiente “chiuso” e ovattato, assolutamente idoneo ad accogliere un live set voce-e-chitarra privo di fiati e di strumenti d’accompagnamento, nel quale la performance è il frutto di una conversazione musicale – e non solo – tra chi suona e chi ascolta e ascolta in silenzio. Ciò che è mancato ieri sera in Piazza Battisti, in pratica: quel silenzio al di là delle transenne violato – schiamazzi, chiacchiere, cani e padroni di cani, per dirla con Elio – dai distratti e i disinteressati che, a costo zero, hanno ascoltato lo stesso identico concerto di chi ha pagato il biglietto – e se il rimedio degli organizzatori, anche per riempire qualche sedia vuota, è aprire un paio di transenne, allora qualcosa va necessariamente rivista, soprattutto in concerti di questo tipo.
BRIVIDI SONORI. Rumori di fondo a parte, l’antidiva per eccellenza ha realmente danzato sulle nuvole della propria musica: piano piano, con passetti cadenzati, leggeri, godendosi la sapienza del proprio partner musicale come in occasione di “Left of Center”, brano intonato a metà concerto e datato 1986, quando cioè la Vega cominciava a scalare le classifiche attraverso la poesia e l’impegno folk – peraltro nel cuore del cosiddetto “decennio del disimpegno” e della dance-music. Brividi sonori, insomma, per chi ha vissuto quella voce quando era il momento di farlo – e nel pubblico foggiano, ieri sera, c’era anche tanta emozione – e per chi l’ha ascoltata e ammirata dopo, apripista per tante “stelle” a venire che tanto devono, musicalmente e stilisticamente, a questa straordinaria artista. Ma Suzanne nasce e resta folk-singer e canta anche l’amore, quello oltre il muro di “Marlene on the wall”, brano del 1985 e parte del primo disco dell’artista, quello che porta proprio il suo nome – come si usava fare al tempo – e dal quale ha pescato anche in occasione di “Luka”, canzone che l’ha consegnata agli annali della musica attraverso il racconto di una vicenda di violenza domestica ai danni di un bambino – sempre nel famoso decennio di cui sopra.
LA DEA CALIPSO, ULISSE, IL MARE E QUEL RUMORE DI FONDO. Voce illibata, s’è detto, impegno folk e tanta, tanta poesia ma prima, perché i fan vanno rispettati, c’è “Tom’s diner”: Suzanne lo sa, sorride e riprende il famosissimo motivetto in versione remix, quella che due dj sconosciuti di Londra – li chiamarono DNA al momento della pubblicazione, ma giusto per dargli un nome – più o meno clandestinamente trasformarono in una hit epocale. È la canzone che chiude la “set-list”, il pubblico batte le mani e immortala sugli smartphone il momento, quello sbattere di porte della nostalgia che solo la musica, certa musica, è in grado di sommuovere. Il bello però, viene subito dopo: Vega e Leonard escono di scena, rientrano tra gli applausi e riprendono a suonare per soli due brani. È il momento della ninfa Calipso che ha vissuto da sola e la sua casa è un’isola e una mattina, all’alba, si sveglia e vede Ulisse combattere con il mare: quando Suzanne Vega intona quel “My name is Calypso” – in “Solitude Standing”, perla di una perla datata ’87 – tutto rallenta, quasi si ferma, la sua voce è quella voce, la poesia è quella poesia, e anche in Piazza Battisti si sentono le onde, la brezza, la voce della dea del mare cantata da Omero. Peccato, solo, per quel rumore di fondo…
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