Addio a James Senese, tante volte in Capitanata con il suo sound da “nero a metà”
Indimenticabili i live di Apricena, Lucera, Foggia
“Quando muoio io, questa musica non la sentite più”. Lo diceva spesso, ultimamente. Ai concerti, dal palco, il suo habitat. In napoletano, la sua lingua. Quella di un afro-partenopeo autentico, figlio della guerra – nato nel ’45 a rione Sanità da Anna Senese e James Smith, mamma italiana, padre soldato americano.
DA QUESTE PARTI. Gaetano detto James Senese se n’è andato nelle prime ore del 29 ottobre, all’età di ottant’anni, a causa di una polmonite. Sassofonista, cantante, compositore, persino attore, James avrebbe dovuto suonare lo scorso settembre a San Giovanni Rotondo, dov’era atteso già a luglio e prima ancora il 21 dicembre del 2024. Un concerto rinviato tre volte (per motivi di salute) e mai realizzato che, a ben guardare, sarebbe stato l’ultimo in Capitanata. Da queste parti, pertanto, l’artista napoletano ha suonato tante volte: nella corte di Palazzo D’Auria, a Lucera, nel maggio del 2015 lasciò il segno (la foto dell’articolo, di Samuele Romano, lo ritrae proprio durante quel concerto); e prima ancora in quel di Apricena, per “Suoni in Cava”, in un’edizione datata 2005 che proponeva in cartellone musicisti del calibro di Sergio Cammariere e Massimo Bubola.
NAPOLI CENTRALE. In quell’occasione, James si presentò come “Napoli Centrale”, la band leggendaria che ha fondato lui stesso nel 1974, la stessa che qualche anno dopo accolse uno sbarbato Pino Daniele – prima bassista, poi voce e chitarra – insegnandogli – è il caso di dire – quel sound da “nero a metà” che l’avrebbe reso un grandissimo. Un’esperienza, quella dei Napoli Centrale, tanto breve quanto intensa, a tratti inarrivabile: un mix di jazz, soul, funk, etno e qualcosa d’altro ch’è ancora oggi fuori da ogni ricognizione e che forse, a ben guardare, era semplicemente James, il suo sound, il suo colore.
FUORI DA TUTTO. I suoi ultimi due dischi da solista – imboccò l’ancia per la prima volta a 12 anni, folgorato dai suoni di John Coltrane – si intitolano “È fernut' 'o tiempo”, del 2012, e “Chest nun é a terra mia”, recentissimo, del 2025. Più che presagi, come potrebbe suonare a primo acchito, entrambi rappresentano una constatazione di fatto della sua singolarità artistica: fuori dagli schemi, fuori dal tempo, fuori dal mondo.
QUELLA SERA AL TEATRO GIORDANO. A saperne qualcosa è anche il pubblico di Foggia: nel 2016 si è esibito sul palcoscenico del Giordano in Jazz, a teatro, incantando e straniando il pubblico come solo lui sapeva fare. All’epoca aveva settant’anni, ma già lo diceva (lo disse per davvero, proprio in quell’occasione): “quando muoio io, questa musica non la sentite più”. Proprio così.
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