Giordano in Jazz, ai sassofoni di James Carter l’ultima parola: tutta l’energia dell’Organ Trio
Meno pubblico per la serata “più jazz” di tutte (foto Backlight)
Guardare alla tradizione con rispetto, ma a testa alta. Con la personalità del jazzista affermato che aspetta il suo turno prima di varcare la soglia dei grandissimi: gli ultimi “giant steps” della consacrazione internazionale. E intanto suona, e gira il mondo. E suona alla grande (nelle immagini firmate 'Backlight photos' di Saverio Aprile, in collaborazione con Enrico Maggi, tutta l’energia dell’ensemble).
PUBBLICO PIU’ DI NICCHIA. James Carter Organ Trio, pochi righi per una definizione: ieri sera, martedì 12 luglio, in scena per l’ultimo atto del Giordano in Jazz – Summer Edition, trittico delle delizie fortemente voluto dall’Assessorato alla Cultura del Comune di Foggia e dal dirigente Carlo Dicesare, in collaborazione con il Moody di Nino Antonacci. Un ultimo concerto caratterizzato da un pubblico meno numeroso della serata numero due – quella del carismatico Bill Evans e del rimpianto Mike Stern, assente per infortunio – e decisamente più di nicchia rispetto alla grande folla giunta all’inaugurazione, affidata ad un’icona della musica internazionale (non solo del jazz) come Dee Dee Bridgewater (LEGGI E GUARDA I VIDEO).
LA SERATA PIU’ JAZZ DELLE TRE. Una scrematura naturale, a conti fatti, considerata la musica di James Carter e dei suoi straordinari complici, Gerard Gibbs e Alex. Quella di ieri sera è stata la serata più jazz delle tre: dalle armonie e i colori dell’orchestra in stile Dee Dee, vocalist ipnotica anche per un pubblico profano, si è passati alle peregrinazioni funk-fusion di Evans e compagni, in grado di coinvolgere anche un pubblico meno avvezzo al jazzismo puro, e si è finiti con l’hard-bop “tout court”, a tratti forsennato e sfrenato, di certo virtuoso. Squisitamente black, insomma, con ritmi percussivi indiavolati e un fortissimo inter-play tra gli interpreti: Hammond e batteria quasi all’unisono sui rispettivi “solo” durante i vari crescendo, alcuni dei quali straordinari, e un James Carter in forma smagliante, in grado di variare frasi e linguaggi senza smentire la propria energia, muovendosi con naturalezza tra i sassofoni a lui congeniali, soprattutto tenore ma anche clarino.
RIPORTARE SUI BINARI GIUSTI UNA PASSIONE. Si chiude così una rassegna varia per qualità e intensità, di ottimo livello, più importante rispetto a quella dello scorso anno e, forse, in linea con la tradizione non trascurabile – soprattutto al livello nazionale, considerati gli anni ’70 e ’80 – di quello che fu il Foggia Jazz Festival, meritevole di aver dato un’impronta musicale al capoluogo dauno. Il Giordano in Jazz non sembra essere un’appropriazione indebita del passato che fu, piuttosto il vivace tentativo di riportare su certi binari già tracciati – e tracciati bene – una passione che, per troppi anni, era rimasta interrotta. Le chiacchiere poi, è noto, lasciano il tempo che trovano. La musica, per fortuna, quando è buona, è qualcosa che resta. E meno male.
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